giovedì 14 dicembre 2017

LO SO!


Nel silenzio di casa sua Marco vagava col pensiero.
   La sua mente macinava fantasie, il ronzio nelle sue orecchie era quasi assordante, una poltrona lo accolse come lo stesse aspettando. La sua faccia affondò tra le mani “Cos’è che mi manca?” pensava stanco “Cos’è questo vuoto?”
   Il vuoto attorno a lui lo stava assalendo, la solitudine era in agguato. Era solo e non voleva esserlo, era stanco e non voleva dormire, era fermo e voleva correre.
   Il suono del campanello lo fece sussultare. Attraversò il corridoio in una specie di trance, il disordine era dentro e fuori, l’appartamento inguardabile. Quando arrivò alla porta guardò dietro di se “Si dovrebbe fare un po’ d’ordine” si disse grattandosi la testa piena di capelli scurissimi “qui dentro e qui fuori”.
   Il cappotto sul suo appendiabiti era l’unica cosa al suo posto. Il resto della casa sembrava essere stata invasa da un esercito di scimmie impazzite. I fumetti che di solito si trovavano sulla mensola erano sparsi sul pavimento. Ancora ricordava quella sera in cui preso da un raptus si mise a cercare “Il lungo addio”. Ricordava quando aveva finito di leggerlo e aveva pianto. Le lacrime calde gli avevano fatto sognare Silvia, quando gli accarezzava le guance sempre rasate prima di…
   I libri che una volta stavano in ordine di altezza nella libreria, sistemati per autore, e in alcuni casi per genere, ora non si trovavano nemmeno più lì, sparsi per casa, letti a metà, aperti e richiusi, libri che aveva avuto paura di finire, troppo era il ricordo di lei, di quando in quello stesso appartamento si sedevano l’uno di fronte all’altro a leggerli e poi a commentarli.
   I ritagli di giornale appesi al muro non lo aiutavano a dimenticare, lui non voleva, l’avrebbe portata sempre dentro di lui, l’avrebbe amata per sempre.
   Marco sentì di nuovo le lacrime risalire, sentì la tristezza correre a travolgerlo, sentì l’amarezza che provò quando comprese di essere inerme di fronte ad un fatale destino che gliel’aveva portata via. Un destino che lui aveva aiutato.
   Il campanello suonò di nuovo e di nuovo Marco trasalì. “Chi sarà?” si domandò. Da quando Silvia era morta nessuno più lo cercava, in fondo tutti avevano dato la colpa a lui di quello che era successo, in fondo la colpa se l’era sempre attribuita anche lui, forse in fondo era davvero colpa sua. Lei lo aveva abbandonato per lasciarlo in ottima compagnia, il rimorso.
   Quando tornò a girarsi verso la porta d’ingresso tirò un sospiro profondo, non aveva voglia di ricevere nessuno “E se facessi finta di non esserci?” in quell’istante il campanello risuonò, come se la persona oltre l’uscio avesse sentito il suo pensiero, “Lo so che ci sei!” una voce arrivò all’orecchio di Marco, si guardò attorno ma si rese conto che era arrivata dalla sua mente. Si fece coraggio e afferrò la maniglia della porta, tirò a se e i suoi occhi incrociarono un viso conosciuto, le gambe quasi non ressero…
-Ciao Marco!









   Silvia era lì, ferma sulla soglia e lo guardava con un sorriso che lui riconosceva. Il battito accelerato del suo cuore lo stava facendo impazzire, da un momento all’altro sarebbe svenuto, lo sentiva. Chiuse gli occhi e sperò che quando li avesse riaperti lei fosse sparita, ma non fu così e lui, nel profondo, se ne rallegrò.
-Che fai- disse lei inclinando il capo di lato -non mi fai entrare?
Automaticamente Marco si spostò di lato e Silvia gli passò davanti, davanti ai suoi occhi spalancati, davanti al suo respiro affannoso, davanti alla sua incredulità. Percepì il suo inconfondibile odore.
-Vedo che te la passi bene…
La sua affermazione era ironica e Marco la riconobbe, ricordò quando lei scherzava, e ricordò quanto gli piacesse quell’ironia.
-Ma tu…
Lei non lo lasciò finire
-Scccccccch!- il suo indice era salito fino alla punta del naso e davanti alla bocca –non si dice- e fece un occhiolino.
-Sto sognando?- domandò Marco dopo aver chiuso la porta -è l’unica spiegazione.-
-Non stai sognando- Silvia gli rispose poco prima di girarsi e dirigersi verso il soggiorno. Si muoveva come se fosse casa sua e per un breve periodo lo era stata “Troppo breve” il pensiero che formulò Marco fu velocissimo.
-Allora come è possibile che tu sia qui?
-Le cose accadono e non c’è spiegazione alcuna, la stessa vita può essere un sogno, magari fatto da qualcun altro.
Continuava a camminare nell’eleganza che la caratterizzava. I lunghi capelli scuri come sempre le sfioravano il fantastico sedere, Marco osservò quella scena come aveva fatto milioni di volte e la seguì
-Da quand’è che hai bisogno di una governante?
Silvia parlò mentre si guardava attorno. Le videocassette erano in qualsiasi posto tranne dove dovevano essere, la tv era spenta e il tenebroso silenzio stava quasi uccidendo le orecchie di Marco.
-Metto un po’ di musica?- le chiese con una punta di timore, un pensiero rapido gli aveva attraversato la mente, la paura di svegliarsi all’improvviso con la radiosveglia che suonava sul comodino.
   Lei si gettò sulla poltrona che qualche minuto prima era occupata da lui e puntò di nuovo i suoi occhi verdi in quelli scurissimi del suo amore di sempre
-Sì, un po’ di musica mi va!- la sua voce, la sua voce era la musica che gli mancava.
   Marco raggiunse lo stereo e cercò un cd tra il disordine che s’era creato in quei mesi in cui lei lo aveva abbandonato.
   Quando il dolce suono dei violini di Bitter sweet symphony riempì la stanza Silvia si rilassò sulla poltrona, ora sì che era a casa.
   Marco arrivò al divano ed ora erano uno di fronte all’altro, come quando insieme leggevano, come quando chiacchieravano, come quando lei era ancora viva.
   Lei aveva gli occhi chiusi e continuava ad ascoltare la dolce musica in sottofondo. Ad un certo punto parlò e Marco ebbe l’ennesimo sussulto
-Ti starai chiedendo cosa ci faccio qui…
Marco non rispose, lo sapeva cosa voleva, o almeno lo sospettava.
   Alle spalle di Silvia c’era un’oscurità innaturale e da quell’oscurità arrivò una strana voce, una terribile voce che diede quasi il colpo di grazia a un Marco atterrito dal terrore
-Lo sa cosa ci fai qui…





   La schiena di Marco era ora schiacciata alla spalliera del suo divano che non aveva mai sentito così freddo, da lontano si sentivano i rintocchi del campanile che annunciavano la mezzanotte.
   Gli occhi di Marco erano fissi su quell’oscurità
-Chi sei?- domandò col terrore nella voce -chi sei?-
Silenzio. Marco guardò verso lo stereo, anche lui aveva smesso di suonare, non sapeva nemmeno da quanto.
-Non avere paura- la voce di Silvia era allegra, quasi divertita dalla situazione –è con me, è lui che mi ha portato qui.
   Ora non riconosceva più la sua amata, sembrava diversa, nei suoi occhi vedeva una punta d’odio. Fu solo un lampo eppure il povero Marco lo aveva avvertito.
-Cosa volete?- quasi gridò –CHI SIETE?- ormai urlava.
-Calmo- l’apostrofò Silvia -pensavo sapessi quello che siamo venuti a prendere questa notte.
   Lo sguardo scuro di Marco si posò sul pavimento
-Questa notte- ripeté tra se e se -mi dispiace- non riusciva a guardarla in faccia -mi dispiace-
Lei non rispose e Marco alzò la testa con la speranza che fosse sparita, ma lei era ancora lì e lo guardava in un modo che non aveva mai fatto.
   La tv si accese all’improvviso e sullo schermo apparve il suo  viso, il viso di Marco
-Che succede?- domandò girandosi verso di lei. Silvia rifece il gesto  di qualche minuto prima e lo zittì
-Guarda, è il mio film preferito- con un gesto del capo lo invitò a girare lo sguardo verso il televisore.
Il Marco protagonista in tv stava scrivendo una lettera ed era sudato, spaventato.
-Te la ricordi quella lettera?- gli domandò Silvia
-Sì- rispose con un filo di voce, subito dopo sullo schermo comparve il corpo nudo di Silvia in una vasca piena di acqua e sangue.
-No!- gridò lui -no, vi prego!- le sue mani arrivarono a coprire il viso ma quell’immagine non scomparì, era impressa nella sua mente. Tutte le notti lo andava a trovare, tutte le notti lo tormentavano i polsi di lei squarciati da una lametta e dal dolore che gli aveva causato con quella lettera.
-Mi avevi abbandonata!- disse lei con un filo di voce
-Lo so!- rispose lui senza guardarla.
-Aspettavo il nostro bambino!- non cambiò il tono della voce
-Lo so!- rispose lui un po’ più forte
-Stavi scappando da noi, dalle tue responsabilità
-Lo so!- Marco quasi gridava.
-Eri spaventato…
-LO SO!- ora stava decisamente urlando, sembrava riuscisse a dire solo quelle due parole, ma continuò -non mi sentivo pronto, avevo tante cose da fare ancora, avevo dei sogni!-il suo viso era pieno di lacrime. Lei lo guardava senza espressione.
-E li hai realizzati?
-NO!- lo sguardo di Silvia lo stava uccidendo.
-Mi dispiace- diceva tra i singhiozzi -perdonami! Ti prego!
Silvia si alzò e gli si mise davanti. Lui alzò lo sguardo verso di lei, quello sguardo pieno di dolore
-Io ti amavo- era vero, l’aveva sempre amata e subito dopo aver scritto quella lettera se ne era già pentito -non t’avrei lasciata, ero tornato!
-Lo so!- questa volta fu lei a pronunciare quelle due parole in un soffio
-Perdonami ti prego!- Marco afferrò le sue gambe –perdonami!
-Io l’ho già fatto- mentre pronunciava quelle parole si chinò a baciargli la nuca -ora tocca a te perdonarti- lo accarezzò e lui alzò lo sguardo verso di lei, sorrideva.
Silvia si fece da parte e alle sue spalle comparì un uomo vestito di nero, era elegantissimo. Il suo viso aveva tratti orientali e le sue guance erano piene di una barba folta ma curata. Gli occhi di quell’uomo erano  scuri, scuri come la notte che c’era fuori da quell’appartamento di un quinto piano che in quel momento Marco sentiva sotto terra.
   L’uomo allungò una mano verso di lui e Marco d’istinto cercò lo sguardo di Silvia, lei con un cenno del capo disse -Vai-
Marco afferrò la mano dello sconosciuto apparso dal buio e si alzò dal divano in cui era sprofondato. Ora non aveva più paura.
   Si incamminarono verso il balcone che magicamente  si era aperto, Marco tornò a cercare lo sguardo di Silvia che ormai era alle sue spalle e le disse -Addio-
-Arrivederci- gli rispose lei con lo sguardo sereno.
   Lei rimase lì a guardare quella scena, vide Marco uscire in terrazzo e l’uomo vestito in nero seguirlo.
   La buia notte si abbatté su di lui come una tenda di un velluto pesante, sentì un rumore alle sue spalle e girò la testa di scatto. L’uomo dai tratti orientali e vestito come un fotomodello Versace aveva dietro le spalle due enormi ali bianche. Marco sorrise e tornò a guardare avanti, avvertì una pressione sotto le ascelle e all’improvviso si sentì  leggero. Stava andando incontro alla notte più buia.





   Gli uccelli cinguettavano dopo il risveglio di una lunga notte. La luce dell’alba illuminò il corpo inerme di Marco sul selciato.
   Qualcuno gli si avvicinò
-O mio Dio!- una donna che passava di lì -Si è ammazzato!
-Ha fatto un volo di cinque piani!- gridava la gente. 
   Quando qualcuno ebbe il coraggio di avvicinarsi si rese conto che sul suo viso, sul volto di quel giovane suicida, era stampato un sorriso. Il rimorso lo aveva ucciso, il rimorso lo aveva liberato.


FINE


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