giovedì 30 novembre 2017

TI ODIO



Inesorabilmente la pioggia continua a cadere sul parabrezza della mia auto.
Io la guardo mentre aspetto Cecilia sotto il suo portone. Guardo le goccioline che continuano a rincorrersi come facevo da bambino, quando scommettevo su quale sarebbe arrivata per prima sul fondo del vetro.
Da allora è passato tanto tempo, ma a me sembra ieri. Sembra ieri che si giocava nel quartiere fino al calar della sera, fin quando una voce non ci richiamava alle nostre case dove un piatto di minestra fumante stava ad attenderci, dove il letto caldo non ci dispiaceva, vista la stanchezza accumulata. Quei tornei continui di calcetto, si giocava per ore, roba che nemmeno i professionisti…
Ed ora sono qui, la portiera che si apre mi riporta al presente in cui “dovrei” essere grande.
«Ciao!»
La voce di Cecilia si sente appena soffocata dallo stereo a volume alto, lei provvede subito ad abbassarlo, io le rivolgo un sorriso forzato.
È bella come sempre con i suoi capelli corvini e le sue guance un po’ arrossate dal freddo, quel suo modo di muoversi elegante, anche se a volte un po’ forzato, si vede che l’ha studiato dalle dive di Hollywood o dalle protagoniste di Beautiful.
«Hai visto come piove?»
L’ho visto sì, questa merda di tempo! Non le rispondo. Sembra il discorso che farebbero due estranei: “Piove” “E sì, con questo tempo non si capisce più niente!” “Eh, non esistono più le mezze stagioni!” e tutte quelle merdate di circostanza.
Ingrano la prima e persino il mio bolide sembra non voglia muoversi in quel diluvio, fa due singhiozzi, ma poi si rassegna all’idea di portarmi in giro. Anch’io non avevo voglia di uscire ma ci tocca bello!
«Sai ho parlato con papà…»
Perché  in genere non lo fate? Mi verrebbe da dirle.
Sé se n’è uscita con quel discorso vuol dire che hanno parlato di cose serie e qui inizio a temere quello che mi spetta.
L’immagine di quel grassone spara prediche mi si para davanti, lo vedo con il suo baffone anni settanta e quel sorriso  di circostanza, un sorriso che non riesci mai a capire quanto sia vero o quanto sia falso.
«…dice che vuole sapere che intenzioni hai…»
     Eccola! Lo sapevo che era lì che voleva arrivare, questa volta a tempo record, subito dopo il “Ciao”.
«…che sarebbe ora che mi sistemi…»
     Porca vacca! A ventitré anni?! Cavolo, ma lo vedi che sei una bimba e che io c’ho ancora il moccio al naso?!
Non la sopporto quando fa così, non la sopporto quando si fa modellare dagli altri, eppure è così, la copia di sua madre sovrapposta a quella del padre con piccole sfumature delle amiche.
«…le mie amiche…»
     APPUNTO!
«…sono già tutte sposate e Clara è anche incinta…»
Sì, certo, il sogno della mia vita: una moglie, una casa, un paio di piccoli marmocchi che corrono in giro, un camino e un bel paio di pantofole da indossare quando torno dal mio duro lavoro.
NO!
«…mia madre alla mia età aveva già me…»
E siccome tua madre ha fatto un errore lo devi fare anche tu? Perché non le vai a domandare se è felice? Soprattutto quando tuo padre la zittisce e la tratta da idiota? O quando tutti ridono di lei perché, quella brava persona di tuo padre, ha appena finito di raccontare un aneddoto su di lei?
Perché non riesco a dirgliele tutte queste cose? Perché non parlo?… Perché è un discorso che abbiamo fatto migliaia di volte!
«…non posso accettare che mia sorella più piccola si sposi prima di me…»
Altra bella cima! Sposarsi a vent’anni, ma come le dice la testa?! A quell’età devi vivere!
Scappa da un padre padrone per rintanarsi tra le braccia di un marito geloso e possessivo. Già me la vedo rinchiusa nella sua piccola gabbia dorata.
Lei guarda fuori dal finestrino la sera scura resa ancora più scura da quella maledetta e triste pioggia. Dallo stereo, in un sottofondo quasi impercettibile, arriva il suono dolce di un sassofono, solo l’idea di poter alzare il volume della mia canzone preferita e lei riprende. 
«…le mie amiche, i miei genitori, mia sorella mi guardano tutti dall’alto in basso…»
Lo dice quasi gridando, lo dice con le lacrime agli occhi, lo dice girandosi verso di me, inondandomi con il suo dolce profumo.
Io la guardo e forse a questo punto lei si aspetta finalmente una reazione, ma mi fa solo pena, mi chiedo come fa ad essere così bigotta? Come fa a ragionare così una ragazza del ventunesimo secolo? Come si fa a subire un lavaggio del cervello simile?
Continuo a stare in silenzio e torno a guardare la strada.
Mi accendo una sigaretta che è meglio!
«…che fai fumi pure ora? Ma non hai mai fumato!...»
Quante cose non sai di me, quante cose non mi dai nemmeno il tempo di dirti, quante cose mi hai fatto passare la voglia di dirti.
«…E poi stai lì, senza dire una parola…»
E che dovrei rispondere? Che mi avete rotto le palle tu, tua madre, tuo padre, tua sorella la futura sposina, le tue amiche casa e chiesa, mariti e zii, nonni e governanti, il mio datore di lavoro, estranei e conoscenti? Tutti! Me le avete proprio massacrate!
Do un’altra boccata di fumo.
«…vai ancora in giro con questo catorcio, ma ti rendi conto che sei un fallito? Ti rendi conto che non riesci a combinare niente di buono? Ti rendi conto che non sei riuscito nemmeno a mettermi incinta?...»
Sono allibito! Pur di sposarsi è arrivata anche a quello, è arrivata a volermi incastrare. 
E poi che ha da dire sul mio Maggiolone? Suo padre può portare dei baffi assurdi anni settanta ed io non posso guidare in un bolide lucente dello stesso periodo?
«…te ne stai lì, non dici niente, fermo a fumarti quella merda, io…io…»
La rabbia la sta quasi uccidendo.
«TI ODIO!!!»
Aaaaah! L’hai detto finalmente! Finalmente ti è uscito quanto sei stronza!
Inizio a pensare al contenuto del mio cruscotto.

Lo apro subito dopo aver accostato e ne tiro fuori la pistola. Dirigo la canna verso la sua tempia, il mio dito preme il grilletto, il suo cervello schizza fuori dal mio finestrino in frantumi. Poi la giro verso di me, infilo la canna in bocca e il grilletto questa volta mi sembra più forte, ma riesco a tirarlo, il mio di cervello dipinge la capote di rosso…

«Mi riaccompagni a casa?»
La sua voce mi sveglia dalla mia allucinazione ad occhi aperti.
Ormai sta piangendo e quello che le fa più rabbia, sono sicuro, è il fatto che non dico una parola.
Dò un occhio al cruscotto, no, purtroppo lì non c’era una pistola con cui avrei potuto dare fine alle nostre inutili vite, ma qualcos'altro che non è per niente peggio.
Sterzo con violenza e dirigo il muso bombato verso casa sua, lei rimane in silenzio, io rimando indietro “Vincent Gallo blues” e alzo il volume.
Ora posso ascoltarla!
Sotto casa sua inchiodo con violenza, la sua testa va in avanti e i suoi capelli spargono nell’aria il profumo, che ormai mi dà la nausea.
«CIAO…»
Mi saluta guardandomi in faccia e attendendosi una risposta, io chiudo gli occhi e poso adagio la mia nuca sul poggiatesta. Sento solo una forte tensione nell'aria e il rumore dello sportello sbattuto con forza. Riapro gli occhi e la vedo infilarsi nel portone.
«Addio!» le dico nel momento in cui chiude il pesante portone.
Ma lei non mi sente, non può sentire, è troppo lontana da me.
I miei occhi verdi iniziano a guardarmi dallo specchietto retrovisore, forse mi vogliono giudicare, ma accennano un sorriso.
Torno a guardare il cruscotto chiuso, lo apro e all’interno c’era, lì che mi aspettava, il biglietto aereo di sola andata che mi avrebbe portato via da quell’inutile posto di merda.
Lo raccolgo e lo scruto per un po’, forse c’è ancora un pizzico di ripensamento, ma la sua voce arriva a riprendermi
«TI ODIO!!!»
Torno a guardare lo specchietto che riflette i miei occhi, ora stanno ridendo davvero.
«Addio!» ripeto dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sua casa.
Questa volta il mio Maggiolone riparte con più convinzione.

FINE


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