Inesorabilmente la pioggia continua a cadere sul
parabrezza della mia auto.
Io la guardo mentre aspetto Cecilia sotto il suo portone.
Guardo le goccioline che continuano a rincorrersi come facevo da bambino,
quando scommettevo su quale sarebbe arrivata per prima sul fondo del vetro.
Da allora è passato tanto tempo, ma a me sembra ieri.
Sembra ieri che si giocava nel quartiere fino al calar della sera, fin quando
una voce non ci richiamava alle nostre case dove un piatto di minestra fumante
stava ad attenderci, dove il letto caldo non ci dispiaceva, vista la stanchezza
accumulata. Quei tornei continui di calcetto, si giocava per ore, roba che
nemmeno i professionisti…
Ed ora sono qui, la portiera che si apre mi riporta al
presente in cui “dovrei” essere grande.
«Ciao!»
La voce di Cecilia si sente appena soffocata dallo stereo
a volume alto, lei provvede subito ad abbassarlo, io le rivolgo un sorriso
forzato.
È bella come sempre con i suoi capelli corvini e le sue
guance un po’ arrossate dal freddo, quel suo modo di muoversi elegante, anche
se a volte un po’ forzato, si vede che l’ha studiato dalle dive di Hollywood o
dalle protagoniste di Beautiful.
«Hai visto come piove?»
L’ho visto sì, questa merda di tempo! Non le rispondo. Sembra
il discorso che farebbero due estranei: “Piove” “E sì, con questo tempo non si
capisce più niente!” “Eh, non esistono più le mezze stagioni!” e tutte quelle
merdate di circostanza.
Ingrano la prima e persino il mio bolide sembra non
voglia muoversi in quel diluvio, fa due singhiozzi, ma poi si rassegna all’idea
di portarmi in giro. Anch’io non avevo voglia di uscire ma ci tocca bello!
«Sai ho parlato con papà…»
Perché in genere non lo fate? Mi verrebbe da dirle.
Sé se n’è uscita con quel discorso vuol dire che hanno
parlato di cose serie e qui inizio a temere quello che mi spetta.
L’immagine di quel grassone spara prediche mi si para
davanti, lo vedo con il suo baffone anni settanta e quel sorriso di
circostanza, un sorriso che non riesci mai a capire quanto sia vero o quanto
sia falso.
«…dice che vuole sapere che intenzioni hai…»
Eccola! Lo sapevo che era lì che
voleva arrivare, questa volta a tempo record, subito dopo il “Ciao”.
«…che sarebbe ora che mi sistemi…»
Porca vacca! A ventitré anni?!
Cavolo, ma lo vedi che sei una bimba e che io c’ho ancora il moccio al naso?!
Non la sopporto quando fa così, non la sopporto quando si
fa modellare dagli altri, eppure è così, la copia di sua madre sovrapposta a
quella del padre con piccole sfumature delle amiche.
«…le mie amiche…»
APPUNTO!
«…sono già tutte sposate e Clara è anche incinta…»
Sì, certo, il sogno della mia vita: una moglie, una casa,
un paio di piccoli marmocchi che corrono in giro, un camino e un bel paio di
pantofole da indossare quando torno dal mio duro lavoro.
NO!
«…mia madre alla mia età aveva già me…»
E siccome tua madre ha fatto un errore lo devi fare anche
tu? Perché non le vai a domandare se è felice? Soprattutto quando tuo padre la
zittisce e la tratta da idiota? O quando tutti ridono di lei perché, quella
brava persona di tuo padre, ha appena finito di raccontare un aneddoto su di
lei?
Perché non riesco a dirgliele tutte queste cose? Perché
non parlo?… Perché è un discorso che abbiamo fatto migliaia di volte!
«…non posso accettare che mia sorella più piccola si
sposi prima di me…»
Altra bella cima! Sposarsi a vent’anni, ma come le dice
la testa?! A quell’età devi vivere!
Scappa da un padre padrone per rintanarsi tra le braccia
di un marito geloso e possessivo. Già me la vedo rinchiusa nella sua piccola
gabbia dorata.
Lei guarda fuori dal finestrino la sera scura resa ancora
più scura da quella maledetta e triste pioggia. Dallo stereo, in un sottofondo
quasi impercettibile, arriva il suono dolce di un sassofono, solo l’idea di
poter alzare il volume della mia canzone preferita e lei riprende.
«…le mie amiche, i miei genitori, mia sorella mi guardano
tutti dall’alto in basso…»
Lo dice quasi gridando, lo dice con le lacrime agli
occhi, lo dice girandosi verso di me, inondandomi con il suo dolce profumo.
Io la guardo e forse a questo punto lei si aspetta
finalmente una reazione, ma mi fa solo pena, mi chiedo come fa ad essere così
bigotta? Come fa a ragionare così una ragazza del ventunesimo secolo? Come si fa
a subire un lavaggio del cervello simile?
Continuo a stare in silenzio e torno a guardare la
strada.
Mi accendo una sigaretta che è meglio!
«…che fai fumi pure ora? Ma non hai mai fumato!...»
Quante cose non sai di me, quante cose non mi dai nemmeno
il tempo di dirti, quante cose mi hai fatto passare la voglia di dirti.
«…E poi stai lì, senza dire una parola…»
E che dovrei rispondere? Che mi avete rotto le palle tu,
tua madre, tuo padre, tua sorella la futura sposina, le tue amiche casa e
chiesa, mariti e zii, nonni e governanti, il mio datore di lavoro, estranei e
conoscenti? Tutti! Me le avete proprio massacrate!
Do un’altra boccata di fumo.
«…vai ancora in giro con questo catorcio, ma ti rendi
conto che sei un fallito? Ti rendi conto che non riesci a combinare niente di
buono? Ti rendi conto che non sei riuscito nemmeno a mettermi incinta?...»
Sono allibito! Pur di sposarsi è arrivata anche a quello,
è arrivata a volermi incastrare.
E poi che ha da dire sul mio Maggiolone? Suo padre può
portare dei baffi assurdi anni settanta ed io non posso guidare in un bolide
lucente dello stesso periodo?
«…te ne stai lì, non dici niente, fermo a fumarti quella
merda, io…io…»
La rabbia la sta quasi uccidendo.
«TI ODIO!!!»
Aaaaah! L’hai detto finalmente! Finalmente ti è uscito
quanto sei stronza!
Inizio a pensare al contenuto del mio cruscotto.
Lo apro subito dopo aver accostato e ne tiro fuori la
pistola. Dirigo la canna verso la sua tempia, il mio dito preme il grilletto,
il suo cervello schizza fuori dal mio finestrino in frantumi. Poi la giro verso
di me, infilo la canna in bocca e il grilletto questa volta mi sembra più
forte, ma riesco a tirarlo, il mio di cervello dipinge la capote di rosso…
«Mi riaccompagni a casa?»
La sua voce mi sveglia dalla mia allucinazione ad occhi
aperti.
Ormai sta piangendo e quello che le fa più rabbia, sono
sicuro, è il fatto che non dico una parola.
Dò un occhio al cruscotto, no, purtroppo lì non c’era una
pistola con cui avrei potuto dare fine alle nostre inutili vite, ma qualcos'altro che non è per niente peggio.
Sterzo con violenza e dirigo il muso bombato verso casa
sua, lei rimane in silenzio, io rimando indietro “Vincent Gallo blues” e alzo
il volume.
Ora posso ascoltarla!
Sotto casa sua inchiodo con violenza, la sua testa va in
avanti e i suoi capelli spargono nell’aria il profumo, che ormai mi dà la
nausea.
«CIAO…»
Mi saluta guardandomi in faccia e attendendosi una
risposta, io chiudo gli occhi e poso adagio la mia nuca sul poggiatesta. Sento
solo una forte tensione nell'aria e il rumore dello sportello sbattuto con
forza. Riapro gli occhi e la vedo infilarsi nel portone.
«Addio!» le dico nel momento in cui chiude il pesante
portone.
Ma lei non mi sente, non può sentire, è troppo lontana da
me.
I miei occhi verdi iniziano a guardarmi dallo specchietto
retrovisore, forse mi vogliono giudicare, ma accennano un sorriso.
Torno a guardare il cruscotto chiuso, lo apro e
all’interno c’era, lì che mi aspettava, il biglietto aereo di sola andata che
mi avrebbe portato via da quell’inutile posto di merda.
Lo raccolgo e lo scruto per un po’, forse c’è ancora un
pizzico di ripensamento, ma la sua voce arriva a riprendermi
«TI ODIO!!!»
Torno a guardare lo specchietto che riflette i miei occhi,
ora stanno ridendo davvero.
«Addio!» ripeto dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla
sua casa.
Questa volta il mio Maggiolone riparte con più
convinzione.
FINE










