giovedì 30 novembre 2017

TI ODIO



Inesorabilmente la pioggia continua a cadere sul parabrezza della mia auto.
Io la guardo mentre aspetto Cecilia sotto il suo portone. Guardo le goccioline che continuano a rincorrersi come facevo da bambino, quando scommettevo su quale sarebbe arrivata per prima sul fondo del vetro.
Da allora è passato tanto tempo, ma a me sembra ieri. Sembra ieri che si giocava nel quartiere fino al calar della sera, fin quando una voce non ci richiamava alle nostre case dove un piatto di minestra fumante stava ad attenderci, dove il letto caldo non ci dispiaceva, vista la stanchezza accumulata. Quei tornei continui di calcetto, si giocava per ore, roba che nemmeno i professionisti…
Ed ora sono qui, la portiera che si apre mi riporta al presente in cui “dovrei” essere grande.
«Ciao!»
La voce di Cecilia si sente appena soffocata dallo stereo a volume alto, lei provvede subito ad abbassarlo, io le rivolgo un sorriso forzato.
È bella come sempre con i suoi capelli corvini e le sue guance un po’ arrossate dal freddo, quel suo modo di muoversi elegante, anche se a volte un po’ forzato, si vede che l’ha studiato dalle dive di Hollywood o dalle protagoniste di Beautiful.
«Hai visto come piove?»
L’ho visto sì, questa merda di tempo! Non le rispondo. Sembra il discorso che farebbero due estranei: “Piove” “E sì, con questo tempo non si capisce più niente!” “Eh, non esistono più le mezze stagioni!” e tutte quelle merdate di circostanza.
Ingrano la prima e persino il mio bolide sembra non voglia muoversi in quel diluvio, fa due singhiozzi, ma poi si rassegna all’idea di portarmi in giro. Anch’io non avevo voglia di uscire ma ci tocca bello!
«Sai ho parlato con papà…»
Perché  in genere non lo fate? Mi verrebbe da dirle.
Sé se n’è uscita con quel discorso vuol dire che hanno parlato di cose serie e qui inizio a temere quello che mi spetta.
L’immagine di quel grassone spara prediche mi si para davanti, lo vedo con il suo baffone anni settanta e quel sorriso  di circostanza, un sorriso che non riesci mai a capire quanto sia vero o quanto sia falso.
«…dice che vuole sapere che intenzioni hai…»
     Eccola! Lo sapevo che era lì che voleva arrivare, questa volta a tempo record, subito dopo il “Ciao”.
«…che sarebbe ora che mi sistemi…»
     Porca vacca! A ventitré anni?! Cavolo, ma lo vedi che sei una bimba e che io c’ho ancora il moccio al naso?!
Non la sopporto quando fa così, non la sopporto quando si fa modellare dagli altri, eppure è così, la copia di sua madre sovrapposta a quella del padre con piccole sfumature delle amiche.
«…le mie amiche…»
     APPUNTO!
«…sono già tutte sposate e Clara è anche incinta…»
Sì, certo, il sogno della mia vita: una moglie, una casa, un paio di piccoli marmocchi che corrono in giro, un camino e un bel paio di pantofole da indossare quando torno dal mio duro lavoro.
NO!
«…mia madre alla mia età aveva già me…»
E siccome tua madre ha fatto un errore lo devi fare anche tu? Perché non le vai a domandare se è felice? Soprattutto quando tuo padre la zittisce e la tratta da idiota? O quando tutti ridono di lei perché, quella brava persona di tuo padre, ha appena finito di raccontare un aneddoto su di lei?
Perché non riesco a dirgliele tutte queste cose? Perché non parlo?… Perché è un discorso che abbiamo fatto migliaia di volte!
«…non posso accettare che mia sorella più piccola si sposi prima di me…»
Altra bella cima! Sposarsi a vent’anni, ma come le dice la testa?! A quell’età devi vivere!
Scappa da un padre padrone per rintanarsi tra le braccia di un marito geloso e possessivo. Già me la vedo rinchiusa nella sua piccola gabbia dorata.
Lei guarda fuori dal finestrino la sera scura resa ancora più scura da quella maledetta e triste pioggia. Dallo stereo, in un sottofondo quasi impercettibile, arriva il suono dolce di un sassofono, solo l’idea di poter alzare il volume della mia canzone preferita e lei riprende. 
«…le mie amiche, i miei genitori, mia sorella mi guardano tutti dall’alto in basso…»
Lo dice quasi gridando, lo dice con le lacrime agli occhi, lo dice girandosi verso di me, inondandomi con il suo dolce profumo.
Io la guardo e forse a questo punto lei si aspetta finalmente una reazione, ma mi fa solo pena, mi chiedo come fa ad essere così bigotta? Come fa a ragionare così una ragazza del ventunesimo secolo? Come si fa a subire un lavaggio del cervello simile?
Continuo a stare in silenzio e torno a guardare la strada.
Mi accendo una sigaretta che è meglio!
«…che fai fumi pure ora? Ma non hai mai fumato!...»
Quante cose non sai di me, quante cose non mi dai nemmeno il tempo di dirti, quante cose mi hai fatto passare la voglia di dirti.
«…E poi stai lì, senza dire una parola…»
E che dovrei rispondere? Che mi avete rotto le palle tu, tua madre, tuo padre, tua sorella la futura sposina, le tue amiche casa e chiesa, mariti e zii, nonni e governanti, il mio datore di lavoro, estranei e conoscenti? Tutti! Me le avete proprio massacrate!
Do un’altra boccata di fumo.
«…vai ancora in giro con questo catorcio, ma ti rendi conto che sei un fallito? Ti rendi conto che non riesci a combinare niente di buono? Ti rendi conto che non sei riuscito nemmeno a mettermi incinta?...»
Sono allibito! Pur di sposarsi è arrivata anche a quello, è arrivata a volermi incastrare. 
E poi che ha da dire sul mio Maggiolone? Suo padre può portare dei baffi assurdi anni settanta ed io non posso guidare in un bolide lucente dello stesso periodo?
«…te ne stai lì, non dici niente, fermo a fumarti quella merda, io…io…»
La rabbia la sta quasi uccidendo.
«TI ODIO!!!»
Aaaaah! L’hai detto finalmente! Finalmente ti è uscito quanto sei stronza!
Inizio a pensare al contenuto del mio cruscotto.

Lo apro subito dopo aver accostato e ne tiro fuori la pistola. Dirigo la canna verso la sua tempia, il mio dito preme il grilletto, il suo cervello schizza fuori dal mio finestrino in frantumi. Poi la giro verso di me, infilo la canna in bocca e il grilletto questa volta mi sembra più forte, ma riesco a tirarlo, il mio di cervello dipinge la capote di rosso…

«Mi riaccompagni a casa?»
La sua voce mi sveglia dalla mia allucinazione ad occhi aperti.
Ormai sta piangendo e quello che le fa più rabbia, sono sicuro, è il fatto che non dico una parola.
Dò un occhio al cruscotto, no, purtroppo lì non c’era una pistola con cui avrei potuto dare fine alle nostre inutili vite, ma qualcos'altro che non è per niente peggio.
Sterzo con violenza e dirigo il muso bombato verso casa sua, lei rimane in silenzio, io rimando indietro “Vincent Gallo blues” e alzo il volume.
Ora posso ascoltarla!
Sotto casa sua inchiodo con violenza, la sua testa va in avanti e i suoi capelli spargono nell’aria il profumo, che ormai mi dà la nausea.
«CIAO…»
Mi saluta guardandomi in faccia e attendendosi una risposta, io chiudo gli occhi e poso adagio la mia nuca sul poggiatesta. Sento solo una forte tensione nell'aria e il rumore dello sportello sbattuto con forza. Riapro gli occhi e la vedo infilarsi nel portone.
«Addio!» le dico nel momento in cui chiude il pesante portone.
Ma lei non mi sente, non può sentire, è troppo lontana da me.
I miei occhi verdi iniziano a guardarmi dallo specchietto retrovisore, forse mi vogliono giudicare, ma accennano un sorriso.
Torno a guardare il cruscotto chiuso, lo apro e all’interno c’era, lì che mi aspettava, il biglietto aereo di sola andata che mi avrebbe portato via da quell’inutile posto di merda.
Lo raccolgo e lo scruto per un po’, forse c’è ancora un pizzico di ripensamento, ma la sua voce arriva a riprendermi
«TI ODIO!!!»
Torno a guardare lo specchietto che riflette i miei occhi, ora stanno ridendo davvero.
«Addio!» ripeto dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sua casa.
Questa volta il mio Maggiolone riparte con più convinzione.

FINE


mercoledì 29 novembre 2017

IL PESO


Pesa dentro ciò che non capisci
Pesa come un macigno per quel che non conosci
Porta con se la sua forza
Porta con se la sua inesattezza
Porta via ciò che non deve e lascia te, a pensare se ne sei degno
Porta via il bene e lascia il male
Porta via il giusto e lascia l'errato
Pesa la sensazione di inadeguatezza
Pesa come fosse quasi colpa tua
Porta via ciò che non deve e lascia te, a pensare se sei degno

lunedì 27 novembre 2017

RESTO QUI


Resto qui
Da solo nella polvere
Cerco sì
Non voglio cedere
Alla tentazione di credere
Che mio fratello sia scomparso
Che mio fratello sia diverso
Resto qui
Cercherò di non perdere
Questo sì
Non potrò mai cedere
Alla tentazione di credere
Che mio fratello sia diverso

Che nell’odio si sia perso

giovedì 23 novembre 2017

SID THE CLAMMY


Lo sai benissimo che quando te ne sarai andato parleranno della tua vita, ed è per questo che vuoi raccontare di come sei morto!

Sudore! Caldo! Euforia! Adrenalina!
Scendi dal palco in estasi. Ti senti come se gradualmente rimpicciolissi dopo essere stato un gigante. Ti senti come se lentamente tornassi umano dopo essere stato Dio.
Sentire il tuo nome invocato da migliaia di fans e i versi scritti da te cantati in coro da una miriade di gente. Cosa c'è di più simile a sentirsi immortali?!
Però quando scendi da quel palco ti vengono i brividi, la metamorfosi alla normalità fa un male cane. E allora ci vuole un po' di roba che ti scorra nelle vene, ci vuole qualcosa che ti tiri su, ci vuole una bomba nel cervello.
«Ehi Clammy! Dove cazzo vai?» La voce di Mark  ti fa voltare. «Sei stato un grande amico!»
I complimenti non ti interessano più. Non è più come all'inizio. Non è come da ragazzino, quando ti applaudivano ed eri già contento che non ti avevano lanciato lattine vuote o resti di cibo. Quando suonavi in quelle bettole di merda, piene di ubriaconi bacati che non capivano un cazzo di musica e continuavano a chiederti di suonare "Sympathy for the devil".
No, ora è tutto diverso! Ora sei tu il diavolo! E hai solo bisogno di una botta forte alla testa che sta perdendo il ritmo. Senti quasi il dolore alla mano, quel pulsare alle dita che ti prende dopo aver suonato per più di due ore il basso. Il polso sembra non voler reggere il peso della mano.
Raggiungi Mark «Dammi qualcosa!» Gli dici riconoscendolo appena.
Lui infila la mano nella tasca e ti porge una stagnola arrotolata alla meglio. Poi ti abbraccia e quasi ti strozza.
«Sei un fottuto Dio amico mio! Mick ti può solo lavare i piedi bello!»
Qualche anno fa non ti avrebbe nemmeno toccato Mark, che con gli altri ti appiopparono il soprannome di "Clammy". Viscido un cazzo! Ti era piaciuto così tanto che l'avevi tenuto come nome d'arte. Ora non ti considerano clammy ma tutti vogliono un pezzo di  te.
Ti guardi attorno e in mezzo a tutte quelle facce di mostri che ti circondano non riesci a vedere quella che ti interessa davvero.
«Dov'è Penny?» Chiedi mentre affondi le narici nella polvere bianca che trovi all'interno della stagnola di Mark «quella stronzetta non c'è mai nei momenti importanti!» La coca fa quasi subito il suo effetto e quelli che prima ti sembravano mostri iniziano ad assumere lineamenti meno inquietanti. Ti stai riprendendo e tiri un grosso respiro. Hai voglia di fumare. Mark ti legge nel pensiero e ti passa il pacchetto di Lucky Strike. Ne peschi una e l'accendi. Il camerino si riempie di fumo e le voci iniziano a darti meno fastidio .
«Dove cazzo sta Penny?!» Urli ormai furioso. Silenzio improvviso. Tutti ti guardano, qualcuno abbozza un sorrisetto maligno.
«Furio dai coglioni!» su tutte le furie sei deciso a levarti quelle sanguisughe dai piedi. «FUORI!» apri la porta del camerino e oltre l’uscio c'è Penny con un tizio che, se ti fossi fermato un attimo a guardare, somiglia molto a te, almeno nel modo di vestire. Vedi i due scambiarsi qualcosa.
«Ecco dov'eri! piccola troietta!» La afferri per un braccio e la tiri all'interno del camerino.
Sono tutti fermi a guardare la scena.
«Ancora qui?! Ma non capite quando vi parlo? Fuori dalle palle!» e inizi a tirar calci e pugni ovunque.  Senti qualche urlo e ti arriva qualche spintone, ma nessuno che reagisce con convinzione.
Finalmente solo! Il silenzio ti dà quasi più fastidio del vociare di prima. Sai che quando arriverai in albergo ci vorrà una grossa e massiccia dose per poter rilassare i tuoi nervi a corda di violino.
«Allora? Che cazzo stavi facendo qui fuori con quella faccia di merda?» Le orecchie ti fischiano, sei quasi sicuro che se lei ti rispondesse non la sentiresti. Ma lei non fa altro che tirare fuori una bustina con della polvere all'interno.
Quando la vedi ti rilassi.
«Porca puttana! Dillo prima che eri andata a far scorte.»
«Ce la facciamo subito?» ti chiede vogliosa. Ha il trucco colato e i capelli sconvolti. Lo sai che per quella bustina può aver fatto di tutto. Non li vuole i tuoi soldi per far compere, vuole essere autonoma e tu sai benissimo da dove arriva la sua autonomia.
«No!» Le rispondi secco. Un po' non ne hai voglia e un po' ti fa girare i coglioni tutta quella situazione, vorresti tenerla legata a te, o in una campana di vetro, ma è uccel di bosco e non puoi fermare qualcosa di selvaggio. «In albergo» continui senza guardarla.  «Piuttosto dì a Mark di chiamare un taxi.»
«Ti piace dare ordini vero?! Mister Rockstar?»
«Mi piace darli ma mi piace molto di più quando li esegui!» La guardi torvo attraverso lo specchio dove hai iniziato a toglierti il trucco che ti si è praticamente incrostato in faccia. Lei capisce che non è aria perché, dopo qualche secondo in cui ha provato a reggere lo sguardo, ti sorride, fa un inchino pizzicando la gonnella di tulle che porta sui jeans strappati ed esce a cercare il tuo “amico” manager, o almeno speri che sia così, non ti va di metterti a cercare quel leccaculo.

Guardi dal finestrino del taxi scorrere una città che non è la tua.
New York ti ha fatto sempre cagare. Con i suoi caffè radical chic e i neri a giocare a basket per strada. I suoi "guarda che fighi i nostri palazzoni" e il suo parco di merda... quel parco dove una notte ti eri avventurato per far spesa e quasi ti accoppavano.
Niente a che vedere con la tua Londra. Aaah casa. I pub sempre aperti. La birra a fiumi, il tuo locale dove nessuno viene a romperti i coglioni. Dove hai scritto un milione di canzoni, su quel tavolo in legno logoro dal tempo. Dove il tuo spacciatore di fiducia ti trova senza problemi. Tutta un'altra storia!
Nel taxi che scorre lento tra le vie trafficate del centro Penny continua ad agitarsi, vuole farsi e non vede l'ora di arrivare in hotel per bucarsi la sua vena preferita. Sei innamorato di quella maledetta pazza, ti piace il suo modo di tenerti a se è respingerti quasi contemporaneamente.
«Lasciala perdere a quella!» Ti tornano alla mente le parole di Mark quando iniziasti a frequentarla «è una tossica di merda!» non aveva tutti i torti. Aveva paura che ti trascinasse nel suo oscuro tunnel e di perdere la gallina dalle uova d'oro.
Invece da quando la conosci sei diventato più prolifico, scrivi di più e i tuoi versi sono ancora più apprezzati, perché più psichedelici, manco fossi quel cazzo di re lucertola.
Ti piace l'eroina e non ne vuoi più fare a meno come non puoi fare più a meno di Penny.
Arrivati nella camera dell'hotel non cerchi nemmeno il bagno per farti una doccia, armate subito il tutto per un bel festino privato. Vodka e sballo. Lei tira fuori la bustina che ti aveva mostrato nel camerino, tu ti attacchi alla bottiglia che hai recuperato al bar dell'hotel.
Con maestria Penny scalda il cucchiaio e tu ti perdi nelle bollicine  che produce.
Ripensi a quanto era bello sognare di essere una Rockstar famosa. Forse era più bello sognarlo che viverla quella maledetta vita. Oggi sei sempre scontento. Sempre insoddisfatto. Sempre strafatto.
Poi finalmente infili l'ago nella vena e non senti immediatamente più nulla. Tutto perde i contorni e tu finalmente ti rilassi e cerchi di farti trasportare dal trip che ti ha riservato il regalo di Penny . Guardi lei fare lo stesso e sprofondare in una poltrona. 
La camera d'albergo si illumina quasi a darti fastidio agli occhi. La luce è così forte e piacevole che ti ci tufferesti dentro.
Una voce ti spegne tutto.
«Ciao Sidney!» Spalanchi gli occhi e ti ritrovi davanti te stesso. Sì, sei proprio tu. Ma non ci credi. Pensi ad uno specchio o a una allucinazione, più probabile.
«Chi cazzo sei?» Chiedi alla tua copia che ti sta davanti.
«Sono te amico mio! Sono la tua cattiveria fatta persona.»
Guardi la sua mano e vedi il tuo coltello, lo riconosci perché è una rarità, con il suo manico in madreperla intagliata, lo riconosci perché è quello che ti ha regalato Penny, e senti la consistenza del manico nella tua di mano.
Il te esterno prende la tua ragazza che sta sdraiata sulla poltrona e la fa mettere in piedi.  Lei a stento apre gli occhi.
«Cazzo vuoi?!» La senti farfugliare appena. Ed è lì che parte la prima coltellata alla pancia. Lei spalanca gli occhi, dal dolore o dalla sorpresa, la sorpresa di accorgersi che la stai ammazzando. Urli qualcosa ma non sei nemmeno sicuro di averlo fatto.  Provi a metterti in piedi ma sei bloccato e non ci riesci. Sei fuori dal tuo corpo senza la possibilità di fare qualcosa e fermare te stesso che assassina la tua amata.
«L'hai sempre considerata una puttana di merda!» ti dice il tuo te stesso mentre sferra un'altra coltellata «è quello che si merita amico mio!»
Piangi e la tua vista è sempre più appannata, forse svieni o non ricordi nulla.
Ti svegli e vedi l'unica cosa che ti interessa al mondo in una pozza di sangue, ferma immobile, con gli occhi ancora sgranati. Il coltello nella tua mano destra lo lasci cadere sulla sudicia moquette del pavimento del Celsea Hotel. Cerchi sempre un posto che ti ricordi casa quando sei fuori dalla tua città.
Piangi per un tempo che ti sembra infinito. Senti bussare alla porta. Afferri quello che resta dell'eroina e te la inietti. Lo fai con voglia e con disprezzo.  Sai che quella sarà la tua ultima dose. Sai che sarà il tuo ultimo viaggio. Sai che da quel punto non si torna più indietro.
Afferri la mano di Penny e ti sdarai al suo fianco. Il cuore inizia la sua corsa impazzita, la bava ti fuoriesce dall'angolo della bocca, i muscoli iniziano a contrarsi in modo convulso come se stessi ballando una macabra danza.
Tutte le tue canzoni, quelle che qualche ora prima avevi cantato davanti a migliaia di persone ti passano nel cervello. L'ultimo barlume prima che si faccia buio, il suo odore.

Corro a cercarti, non lasciarmi indietro
Ti seguirò ovunque fosse anche oltre la morte
Se c’è rimedio o questa è la sorte
Spalancherò quelle maledette porte
Sarò lo scalpello che spaccherà il tuo cuore di pietra.

Gli ultimi versi ti girano nella testa. Gli ultimi versi di una canzone mai suonata, mai incisa, mai sentita.

Poco importa che si scoprirà  che un figlio di puttana vestito in modo identico al tuo era stato appena fermato. Poco importa che fosse stato lui ad ucciderla, lo stesso che vi aveva venduto l'eroina. Poco importa che la mano non era la tua, quella col coltello.
Sai solo che è colpa tua e che se lei non c'è più non esisti nemmeno tu.

FINE

lunedì 20 novembre 2017

L'ALTALENA


Sali su quell'altalena
che è l’amore
Sali e lasciati andare senza timore
Si sa che a volte sale e a volte scende
Si sa che a volte si da e a volte prende
….che a volte si perde
….che a volte ti stende
….e spesso ti sorprende
Sei pronto a dare tutto te stesso?
Sei pronto ad andare oltre il sesso?
….la vita
…la morte
…la sorte
…..la notte
Tutta la notte
Tutte le notti
Se pronto a godere
E a sfiorar le dita?
Sei pronto a morire
E ogni volta a tornar in vita?

giovedì 16 novembre 2017

BUTTATI!


Una colomba bianca volava tranquilla in un cielo sereno. Passò da una città e vide un uomo che stava sul parapetto di un balcone, parlava con un corvo nero appollaiato su una ringhiera di fronte. Sembrava che l’uomo avesse deciso di finirla con quella vita grama. La colomba decise di intervenire, sperando di farlo ragionare. Nel momento in cui si posò vicino a l’uomo il corvo inclinò il piccolo capo pieno di piume nere.
"Buttati!" Disse d'improvviso.
La colomba intercedette.
"Perché vuoi farlo?" Chiese dolcemente "possibile che non ci sia un motivo valido per vivere? Ce l'avrai un lavoro!" disse decisa.
"Mi hanno appena licenziato!" rispose l'uomo in modo triste.
"Buttati!" continuò il corvo
"Ma avrai una moglie a casa che ti aspetta" disse la colomba intenerita.
"Mia moglie mi ha lasciato per andare a vivere con il mio migliore amico! "
"Buttati! " disse di nuovo il corvo dalla sua posizione.
"Ma un figlio che ti ama?" Disse ormai sconfortata la colomba "ce l'avrai un pezzo di carne della tua carne!"
"Mio figlio si droga e continua a derubarmi."
"Buttati!" Fu il commento del corvo.
L'uomo prese un gran respiro e si buttò giù.

"Perché l'hai fatto?" chiese indispettita la colomba al corvo.
"Fatto cosa?" Rispose lui con aria incredula
"L'hai convinto a buttarsi giù "
"No, ti sbagli" disse il corvo stizzito "Prima che arrivassi tu cercavo di convincerlo a ripartire da zero. Con il mio BUTTATI intendevo di farlo nella vita. Sei tu che gli hai fatto tutte quelle domande deprimenti!"

lunedì 13 novembre 2017

OMRAN E' SOLO UN BAMBINO


Omran è solo un bambino
Minuto come un cerino
Non lo sa cos’è la guerra
È da poco su questa terra
L’odio non sa cosa sia
Non sa cos’è quest’idiozia
Che rende l’uomo cattivo
E così non capisce il motivo
Non capisce il perché di quelle bombe
Che arrivano senza squilli di trombe
Ad annunciarne l’imminente arrivo
A chiederti se sei ancora vivo
Omran cerca solo il suo fratellone
In quello scenario di demolizione
Di case e palazzi rasi al suolo
Senza Alì si sente davvero solo
Seduto su quell’ambulanza
Non capisce quella macabra danza
Non è come gli altri bambini
Che cercano già i telefonini
Pieno di polvere su quella foto
Con lo sguardo perso nel vuoto
Quei piccoli occhi non dovrebbero guardare
L’orrore che l’uomo può procurare
Omran non conosce Abele e Caino

Perché lui è solo un bambino.

venerdì 10 novembre 2017

MARE DI RICORDI

L'asfalto pieno di crepe scorreva veloce sotto il veicolo. Guardavo oltre il finestrino l'erba alta che caratterizza i campi in primavera, quei campi che da bambino prendevo a bastonate per improvvisarmi tagliaerba, ma in realtà gli davo solo una bella pettinata. Ed erano lì, quei cespugli ora a me inaccessibili, imprendibili. Rimpiangevo spesso quei periodi in cui camminavo tanto. Quelli in cui ero spensierato. Quelli in cui respiravo, senza rendermene conto, aria pulita.
Guardai verso la mia autista, distogliendo lo sguardo , controvoglia, da quello spettacolo che fuggiva alla mia coda dell'occhio. Era bella. Quando concentrata nella guida aggrottava leggermente le sopracciglia e diventava, se possibile, ancora più affascinante.
"Sei stanca?" Le chiesi quasi in un sussurro "se vuoi guido io per un po' "
"No ,non sono stanca, Guido io, tu pensa a rilassarti. E poi..." mi guardò con un dolcissimo sorriso stampato in viso "...non sapresti dove andare!"
Era vero. Si era messa in testa di farmi una sorpresa , e quel viaggio per me doveva essere senza meta. "Goditi il viaggio " mi aveva detto "e vedrai che l'arrivo sarà l'inizio di una seconda vacanza."
Era fatta così, quando si metteva una cosa in testa difficilmente le facevi cambiare idea. E quella era una di quelle occasioni.
Viaggiammo ancora per un bel po'. Io dormii persino, e sognai.
Sognai mia nonna che mi accarezzava i capelli. Lo faceva spesso quando era viva. E mi diceva "stai bene con i capelli lunghi " e oggi, dopo tanto tempo, ancora quando li faccio crescere penso a quella frase, così dolce e carica d'amore.
La macchina si fermò.
"Siamo arrivati! " disse sorridente.
Mi guardai in torno e il paesaggio mi era familiare.
Ero al mare!
Quel mare che frequentavo da piccolo, quel mare dove andavo con tutta, ma proprio tutta, la mia famiglia. Sembrava come se mia nonna sapesse dove stavo andando e mi fosse venuta in sogno per caricare ancor di più di nostalgia quel posto.
Il cuore prese a battere forte, un nodo mi strinse la gola.
Camminai fino alla riva e immediatamente tolsi le scarpe. Volevo sentire il mare!
Nel momento esatto in cui toccai l'acqua sentii una voce familiare.
"Non ti allontanare!" Era mia madre che, giovane come allora, mi urlava dal suo telo. "E stai attento ai tuoi fratelli! "
Mio padre era steso al suo fianco, il fisico asciutto di chi lavora e porta il pane a casa. Tutto intorno il resto della mia famiglia. Mio zio che giocava a calcio con dei ragazzi, mia zia che preparava i miei cugini, mio nonno in piedi a guardare l'orizzonte.
Un mocciosetto mi schizza con l'acqua fredda, ne arriva un altro e lo imita.
"Facciamo i tuffi? " mi chiedono i quasi gemelli. I miei fratelli.
Mi specchio sulla superficie del mare e l'immagine che mi ritorna è quella di un ragazzino abbronzato come un nordafricano. Torno a guardare  la spiaggia, mancava una persona al quadretto che avevo visto prima, mia nonna.  La cerco e finalmente la vedo. Seduta sulla sua seggiola che mi guarda e mi saluta protetta dal fresco dell'ombrellone.
"È presto per fare il bagno! " la voce di chi mi aveva portato fin lì mi riportò alla realtà.

Le sorrisi e mi immersi nell'acqua. Per non farle vedere le lacrime sul mio viso. Mi immersi in quel mare. Un mare di ricordi.

VERSO LA FELICITA'


Andiamo,sei pronta? Tuo padre non sarà d'accordo Apriamo quella porta Lì fuori il mondo non è sordo Alle nostre paure Alle nostre brutture Andiamo,che aspetti? Prendi solo ciò che serve Voliamo sui tetti Non restare lì inerme A questa vita stanca A tutto quel che manca Corriamo verso la felicità Andiamo verso la nostra libertà Ogni respiro ci appartiene Non dirmi solo che mi vuoi bene Ma amami come una bambina A cui hanno insegnato la mattina Amami come fossi il tuo artista E tu la musa di un musicista Andiamo, non farmi aspettare La notte ci attende con la sua calma Forza, non lasciarmi a sperare Che il tempo si fermi sotto una palma Lui non giudica semplicemente va E non cerca complicità Andiamo piccola, il buio ci attende Siamo due punti di una linea infinita Andiamo e vediamo come si accende La gioia scaduta di questa vita Andiamo,partiamo come aeroplani E ridiamo all' oggi che è già domani Andiamo verso la nostra libertà Ogni respiro ci appartiene Non dirmi solo che mi vuoi bene Ma amami come una bambina A cui hanno insegnato la mattina Amami come fossi il tuo artista

E tu la musa di un musicista

giovedì 2 novembre 2017

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L'ULTIMA PARTITA



Continuava a guardare il fumo della sua sigaretta che saliva verso il soffitto in una spirale grigia, sembrava un fantasma che volteggiava nell’aria. Come se in quel gioco di forme ci fossero le risposte a tutte le domande che voleva porre. 

Restava lì, con lo sguardo fisso e un’espressione da ebete dipinta sul volto, come ipnotizzato, come addormentato, come stordito da quello che gli aveva rivelato il suo ospite sconosciuto.

L’altro stava di fronte a lui, nella poltrona che in genere era riservata a chi lo andava a trovare, a chi chiedeva permesso prima di entrare, ma questa volta non era andata affatto così. Edy si sentiva lui l’intruso in quel momento nonostante fosse il padrone di casa.

"Edoardo?.. " la voce lo riportò sulla terra, alla realtà che lui aveva abbandonato.

"Sì, ci sono… " rispose mentre riportava gli occhi su chi gli sedeva di fronte. Incrociò il suo sguardo e in quel momento Edy, preferiva farsi chiamare così, ma al suo ospite permetteva di chiamarlo col suo nome di battesimo per intero, non riuscì a capire di che colore fossero i suoi occhi, gli sembravano dello stesso colore del fumo che fino ad un istante prima stava fissando con tanta avidità, come per poter scomparire assieme a quella foschia balorda.

Fece un tiro di sigaretta e aspirò profondamente, per darsi coraggio a quello che stava per dire.


"Prima di andare ho delle domande da farti. " quando parlò la voce gli sembrò impastata, aveva quasi fatto fatica a tirare fuori quelle semplici parole.

"Puoi chiedermi quello che vuoi," rispose la sagoma che gli si parava davanti “ma sappi che non ho le risposte a tutto." mentre lo diceva un sorriso gli illuminò il viso, come per chiedere scusa in anticipo di quello che non sarebbe riuscito a spiegargli, ma ad Edy sembrò uno sforzo sadico, come se lo stesse prendendo in giro.

"Che cos’è che vorresti sapere? " l’espressione ritornò seria forse intuendo il fraintendimento negli occhi di Edy. Sicuramente non voleva turbarlo più di quanto non avesse già fatto presentandosi.

Edy girò lo sguardo alla stanza, era sempre stata lì, da quando era andato ad abitare in quel posto era stata attorno a lui ogni qualvolta si era seduto in quella poltrona, ma ora gli appariva diversa. Vedeva tutti i particolari che prima gli sfuggivano. Una macchia di umidità sul soffitto aveva attirato la sua attenzione, l’ospite temette che fosse tornato in quella specie di catalessi in cui era caduto prima guardando la sua sigaretta. Aprì la bocca per richiamarlo, voleva dirgli che quel suo atteggiamento gli avrebbe fatto solo guadagnare secondi inutili, ma prima di poter pronunciare di nuovo quell’”Edoardo?” Edy parlò, continuando a guardare la macchia, la sua nuova scoperta.

"Cosa succederà dopo? " mentre formulava la domanda riportò lo sguardo sul suo interlocutore, per scoprire nei sui occhi se avesse risposto con sincerità, ma sapeva benissimo che lui l’avrebbe fatto.

"Lo scoprirai, " rispose serenamente l’altro "e non ti sembrerà poi così brutto. "

" Ma perché? " Edy stava scuotendo il capo "non capisco perché. " la voce gli tremò leggermente.

"Perché ad ogni azione corrisponde una reazione e quando compiamo un gesto dobbiamo essere consapevoli di dove ci porterà, ed io sono sicuro che tu lo eri in quei momenti. " sul volto dell’uomo dai capelli lunghi non si leggeva più nessuna traccia di sorriso o d’ilarità, ora era serio come non lo sarebbe mai stato. 

Edy rimase a guardarsi la punta delle scarpe riflettendo sull’ultima dichiarazione che aveva sentito. A un certo punto cominciò ad annuire.

"E’ vero! Lo sapevo che mi avrebbe portato a questo ma non immaginavo così presto ed ora che sei qui mi sembra tutto così assurdo. " spense la sigaretta nel posacenere che c’era sul tavolino accanto alla scacchiera.

"Quando guardiamo dietro di noi le nostre azioni prendono sempre una forma diversa: un eroe che salva una donna quando ripensa a quello che ha rischiato, si chiede se tornando indietro avesse rifatto lo stesso, non conta una prossima volta, lui pensa a quella precedente e te l’ho detto, nessuno rivivrebbe la sua vita proprio come lo ha già fatto."

Edy pensò a quel concetto e si ritrovò pienamente d’accordo. 

Guardava i capelli dell’individuo che gli ricordavano qualcosa, anzi qualcuno. Iniziò a scrutare un po’ meglio il suo ospite e si rese conto solo in quel momento che portava un orecchino a cerchio al lobo sinistro, anche quel particolare gli risultò familiare.

"Ti va una birra? " gli chiese poggiandosi allo schienale.

"Volentieri! " rispose l’altro imitando il gesto, rilassandosi di conseguenza.

Edy attraversò la stanza con passo silenzioso e raggiunse la cucina, l’altro rimase lì sapendo che non sarebbe scappato da nessuna parte.

Quando tornò nel soggiorno vide l’uomo affacciato alla finestra e rimase a guardarlo di spalle. Gli ispirava sicurezza quell’individuo che ora non lo guardava, quasi fosse…

No!…non può essere lui!

"Non sono lui!" la voce lo sorprese, gli aveva letto nella mente " ho solo preso le sue sembianze da giovane, così come quando tu eri piccolo e ti affidavi alle sue braccia. Ho pensato ti sentissi più al sicuro se a prenderti fosse venuto tuo padre, il padre che ti proteggeva da bambino. " Una lacrima rigò il viso di Edy che continuava a rimanere alzato sulla soglia della porta con in mano le due birre aperte.

"Come sta? " chiese sforzandosi di non singhiozzare come un bimbo, lo stesso bimbo che si nascondeva quando giocava con lui.

"Sta bene! " rispose e si girò. Il suo viso era cambiato e anche la voce, era diventato una donna. "Da quando sei andato via di casa ha sofferto un po’ ma poi… " il nuovo volto di donna si strinse nelle spalle "la vita continua no? "

Edy annuì e si asciugò la lacrima con la manica della mano libera. Sospirò ripensando a quello che aveva da piccolo e che ora aveva perso inesorabilmente.

"Non è tutta colpa tua…" la voce di donna che aveva assunto ora la sconosciuta era armoniosa e rassicurante "sono bivi che uno sbaglia a prendere, invece di sinistra hai scelto destra e sei arrivato qui. "

Le porse la sua birra e fece un lungo sorso mentre tornava a sedersi.

Recuperò il pacchetto di sigarette dal tavolo e se ne accese una, poi la offrì a lei mentre riprendeva posto di fronte, gliela accese e lanciò il pacchetto che atterrò su un cuscino d’aria e scivolò sul tavolino. Edy guardò la scacchiera, preparata per una partita, gli scacchi tutti allineati come pronti ad un’imminente guerra.

"Ti va di giocarcela? "disse soffiando via il fumo dalle narici.

Lei scosse la testa e Edy si rese conto che diventava più bella ogni secondo che passava, come se si addolcisse quello che stava arrivando. 

"Tu leggi troppo Edoardo!" 

Lui sorrise e girò lo sguardo verso la finestra. Il buio era profondo, un nero così nero Edy non l’aveva mai visto. La stanza sembrava sospesa nel tempo, attorno a quelle quattro mura non esisteva più nulla, il centro dell’universo, di un universo che non c’era più. Mentre pensava a quella scena sentì il suono delle campane arrivare da lontano e gli sembrò impossibile, da quando abitava lì non le aveva mai sentite, ma subito dopo si rese conto che “lì” era un concetto relativo in quel momento.

Lei lo guardò intensamente negli occhi e lui si sentì invadere di tristezza e allo stesso tempo di gioia, come quella sensazione che si prova quando qualcuno ti fa ridere mentre piangi.

"E’ ora…dobbiamo andare! "

Edy annuì, fece l’ultimo sorso di birra e tirò dalla sigaretta prima di spegnerla nel posacenere. Lo sguardo ricadde sul quadrato della scacchiera e prima di alzarsi fece cadere il re che stava dalla sua parte, come si fa quando si subisce uno scacco.

Lei gli porse la mano e il contatto con quella creatura fu l’esperienza più commovente e liberatoria che avesse mai provato, come se avesse raggiunto un orgasmo ma migliaia di volte più intenso. 

Quando si alzò dalla sua poltrona lei rimase a guardare il punto dove era seduto prima lui con una tristezza negli occhi che avrebbe impietosito chiunque. Lui seguì lo sguardo e si vide lì, su quella poltrona con la testa di lato e la siringa ancora nel braccio. 

Edy non ebbe la reazione che si aspettava, il suo corpo su quella poltrona esanime non gli trasmetteva nessuna emozione.

Guardò la sua ospite e le chiese

"Mancherò a qualcuno? "

Lei sorrise e fu un sorriso doloroso, la cosa che gli aveva fatto più male fino ad allora "E’ meglio non saperle certe cose, in entrambi i casi soffriresti. Cerca di non pensarci."

Allora Edy rimase un attimo a riflettere su quello e poi capì. Tirò su col naso e disse 

"Sono pronto! "

Lei disse 

"Bene!...non c’è niente di più maturo che essere pronti alla morte."

FINE