giovedì 28 dicembre 2017

CERCHI DI ESSERE


Come uno scoglio contro un mare in tempesta
Come una zattera nelle stesse acque
Un vecchio pescatore
Rami di quercia e  non braccia
Vene in rilievo come tunnel di animali sotterranei
Preghiere e bestemmie
Sacro e profano
Salsedine nell'aria che riempie i polmoni
Rughe come crepe nella terra arida
Cerchi di essere qualcosa che resta
O almeno qualcosa che manca
Una parola scritta
Magari detta
Forse pensata
Cerchi di essere
Ma perdi il tuo tempo 

martedì 19 dicembre 2017

TI HO CERCATA


Ti ho cercata
Ti ho cercata nei giorni caldi d’estate
Ed ho trovato una folata di vento fresco
Ti ho cercata nei giorni grigi di autunno
E ho trovato un raggio di sole
Ti ho cercata nei giorni freddi d’inverno
E ho trovato un fuoco caldo
Ti ho cercata nei colori della primavera
E ho trovato l’amore
Sbocciava lì senza cura
Sbocciava comunque senza acqua
Sbocciava da solo
Sbocciava nonostante tutto
Difficile da credere
Ma se una cosa deve vivere vivrà

giovedì 14 dicembre 2017

LO SO!


Nel silenzio di casa sua Marco vagava col pensiero.
   La sua mente macinava fantasie, il ronzio nelle sue orecchie era quasi assordante, una poltrona lo accolse come lo stesse aspettando. La sua faccia affondò tra le mani “Cos’è che mi manca?” pensava stanco “Cos’è questo vuoto?”
   Il vuoto attorno a lui lo stava assalendo, la solitudine era in agguato. Era solo e non voleva esserlo, era stanco e non voleva dormire, era fermo e voleva correre.
   Il suono del campanello lo fece sussultare. Attraversò il corridoio in una specie di trance, il disordine era dentro e fuori, l’appartamento inguardabile. Quando arrivò alla porta guardò dietro di se “Si dovrebbe fare un po’ d’ordine” si disse grattandosi la testa piena di capelli scurissimi “qui dentro e qui fuori”.
   Il cappotto sul suo appendiabiti era l’unica cosa al suo posto. Il resto della casa sembrava essere stata invasa da un esercito di scimmie impazzite. I fumetti che di solito si trovavano sulla mensola erano sparsi sul pavimento. Ancora ricordava quella sera in cui preso da un raptus si mise a cercare “Il lungo addio”. Ricordava quando aveva finito di leggerlo e aveva pianto. Le lacrime calde gli avevano fatto sognare Silvia, quando gli accarezzava le guance sempre rasate prima di…
   I libri che una volta stavano in ordine di altezza nella libreria, sistemati per autore, e in alcuni casi per genere, ora non si trovavano nemmeno più lì, sparsi per casa, letti a metà, aperti e richiusi, libri che aveva avuto paura di finire, troppo era il ricordo di lei, di quando in quello stesso appartamento si sedevano l’uno di fronte all’altro a leggerli e poi a commentarli.
   I ritagli di giornale appesi al muro non lo aiutavano a dimenticare, lui non voleva, l’avrebbe portata sempre dentro di lui, l’avrebbe amata per sempre.
   Marco sentì di nuovo le lacrime risalire, sentì la tristezza correre a travolgerlo, sentì l’amarezza che provò quando comprese di essere inerme di fronte ad un fatale destino che gliel’aveva portata via. Un destino che lui aveva aiutato.
   Il campanello suonò di nuovo e di nuovo Marco trasalì. “Chi sarà?” si domandò. Da quando Silvia era morta nessuno più lo cercava, in fondo tutti avevano dato la colpa a lui di quello che era successo, in fondo la colpa se l’era sempre attribuita anche lui, forse in fondo era davvero colpa sua. Lei lo aveva abbandonato per lasciarlo in ottima compagnia, il rimorso.
   Quando tornò a girarsi verso la porta d’ingresso tirò un sospiro profondo, non aveva voglia di ricevere nessuno “E se facessi finta di non esserci?” in quell’istante il campanello risuonò, come se la persona oltre l’uscio avesse sentito il suo pensiero, “Lo so che ci sei!” una voce arrivò all’orecchio di Marco, si guardò attorno ma si rese conto che era arrivata dalla sua mente. Si fece coraggio e afferrò la maniglia della porta, tirò a se e i suoi occhi incrociarono un viso conosciuto, le gambe quasi non ressero…
-Ciao Marco!









   Silvia era lì, ferma sulla soglia e lo guardava con un sorriso che lui riconosceva. Il battito accelerato del suo cuore lo stava facendo impazzire, da un momento all’altro sarebbe svenuto, lo sentiva. Chiuse gli occhi e sperò che quando li avesse riaperti lei fosse sparita, ma non fu così e lui, nel profondo, se ne rallegrò.
-Che fai- disse lei inclinando il capo di lato -non mi fai entrare?
Automaticamente Marco si spostò di lato e Silvia gli passò davanti, davanti ai suoi occhi spalancati, davanti al suo respiro affannoso, davanti alla sua incredulità. Percepì il suo inconfondibile odore.
-Vedo che te la passi bene…
La sua affermazione era ironica e Marco la riconobbe, ricordò quando lei scherzava, e ricordò quanto gli piacesse quell’ironia.
-Ma tu…
Lei non lo lasciò finire
-Scccccccch!- il suo indice era salito fino alla punta del naso e davanti alla bocca –non si dice- e fece un occhiolino.
-Sto sognando?- domandò Marco dopo aver chiuso la porta -è l’unica spiegazione.-
-Non stai sognando- Silvia gli rispose poco prima di girarsi e dirigersi verso il soggiorno. Si muoveva come se fosse casa sua e per un breve periodo lo era stata “Troppo breve” il pensiero che formulò Marco fu velocissimo.
-Allora come è possibile che tu sia qui?
-Le cose accadono e non c’è spiegazione alcuna, la stessa vita può essere un sogno, magari fatto da qualcun altro.
Continuava a camminare nell’eleganza che la caratterizzava. I lunghi capelli scuri come sempre le sfioravano il fantastico sedere, Marco osservò quella scena come aveva fatto milioni di volte e la seguì
-Da quand’è che hai bisogno di una governante?
Silvia parlò mentre si guardava attorno. Le videocassette erano in qualsiasi posto tranne dove dovevano essere, la tv era spenta e il tenebroso silenzio stava quasi uccidendo le orecchie di Marco.
-Metto un po’ di musica?- le chiese con una punta di timore, un pensiero rapido gli aveva attraversato la mente, la paura di svegliarsi all’improvviso con la radiosveglia che suonava sul comodino.
   Lei si gettò sulla poltrona che qualche minuto prima era occupata da lui e puntò di nuovo i suoi occhi verdi in quelli scurissimi del suo amore di sempre
-Sì, un po’ di musica mi va!- la sua voce, la sua voce era la musica che gli mancava.
   Marco raggiunse lo stereo e cercò un cd tra il disordine che s’era creato in quei mesi in cui lei lo aveva abbandonato.
   Quando il dolce suono dei violini di Bitter sweet symphony riempì la stanza Silvia si rilassò sulla poltrona, ora sì che era a casa.
   Marco arrivò al divano ed ora erano uno di fronte all’altro, come quando insieme leggevano, come quando chiacchieravano, come quando lei era ancora viva.
   Lei aveva gli occhi chiusi e continuava ad ascoltare la dolce musica in sottofondo. Ad un certo punto parlò e Marco ebbe l’ennesimo sussulto
-Ti starai chiedendo cosa ci faccio qui…
Marco non rispose, lo sapeva cosa voleva, o almeno lo sospettava.
   Alle spalle di Silvia c’era un’oscurità innaturale e da quell’oscurità arrivò una strana voce, una terribile voce che diede quasi il colpo di grazia a un Marco atterrito dal terrore
-Lo sa cosa ci fai qui…





   La schiena di Marco era ora schiacciata alla spalliera del suo divano che non aveva mai sentito così freddo, da lontano si sentivano i rintocchi del campanile che annunciavano la mezzanotte.
   Gli occhi di Marco erano fissi su quell’oscurità
-Chi sei?- domandò col terrore nella voce -chi sei?-
Silenzio. Marco guardò verso lo stereo, anche lui aveva smesso di suonare, non sapeva nemmeno da quanto.
-Non avere paura- la voce di Silvia era allegra, quasi divertita dalla situazione –è con me, è lui che mi ha portato qui.
   Ora non riconosceva più la sua amata, sembrava diversa, nei suoi occhi vedeva una punta d’odio. Fu solo un lampo eppure il povero Marco lo aveva avvertito.
-Cosa volete?- quasi gridò –CHI SIETE?- ormai urlava.
-Calmo- l’apostrofò Silvia -pensavo sapessi quello che siamo venuti a prendere questa notte.
   Lo sguardo scuro di Marco si posò sul pavimento
-Questa notte- ripeté tra se e se -mi dispiace- non riusciva a guardarla in faccia -mi dispiace-
Lei non rispose e Marco alzò la testa con la speranza che fosse sparita, ma lei era ancora lì e lo guardava in un modo che non aveva mai fatto.
   La tv si accese all’improvviso e sullo schermo apparve il suo  viso, il viso di Marco
-Che succede?- domandò girandosi verso di lei. Silvia rifece il gesto  di qualche minuto prima e lo zittì
-Guarda, è il mio film preferito- con un gesto del capo lo invitò a girare lo sguardo verso il televisore.
Il Marco protagonista in tv stava scrivendo una lettera ed era sudato, spaventato.
-Te la ricordi quella lettera?- gli domandò Silvia
-Sì- rispose con un filo di voce, subito dopo sullo schermo comparve il corpo nudo di Silvia in una vasca piena di acqua e sangue.
-No!- gridò lui -no, vi prego!- le sue mani arrivarono a coprire il viso ma quell’immagine non scomparì, era impressa nella sua mente. Tutte le notti lo andava a trovare, tutte le notti lo tormentavano i polsi di lei squarciati da una lametta e dal dolore che gli aveva causato con quella lettera.
-Mi avevi abbandonata!- disse lei con un filo di voce
-Lo so!- rispose lui senza guardarla.
-Aspettavo il nostro bambino!- non cambiò il tono della voce
-Lo so!- rispose lui un po’ più forte
-Stavi scappando da noi, dalle tue responsabilità
-Lo so!- Marco quasi gridava.
-Eri spaventato…
-LO SO!- ora stava decisamente urlando, sembrava riuscisse a dire solo quelle due parole, ma continuò -non mi sentivo pronto, avevo tante cose da fare ancora, avevo dei sogni!-il suo viso era pieno di lacrime. Lei lo guardava senza espressione.
-E li hai realizzati?
-NO!- lo sguardo di Silvia lo stava uccidendo.
-Mi dispiace- diceva tra i singhiozzi -perdonami! Ti prego!
Silvia si alzò e gli si mise davanti. Lui alzò lo sguardo verso di lei, quello sguardo pieno di dolore
-Io ti amavo- era vero, l’aveva sempre amata e subito dopo aver scritto quella lettera se ne era già pentito -non t’avrei lasciata, ero tornato!
-Lo so!- questa volta fu lei a pronunciare quelle due parole in un soffio
-Perdonami ti prego!- Marco afferrò le sue gambe –perdonami!
-Io l’ho già fatto- mentre pronunciava quelle parole si chinò a baciargli la nuca -ora tocca a te perdonarti- lo accarezzò e lui alzò lo sguardo verso di lei, sorrideva.
Silvia si fece da parte e alle sue spalle comparì un uomo vestito di nero, era elegantissimo. Il suo viso aveva tratti orientali e le sue guance erano piene di una barba folta ma curata. Gli occhi di quell’uomo erano  scuri, scuri come la notte che c’era fuori da quell’appartamento di un quinto piano che in quel momento Marco sentiva sotto terra.
   L’uomo allungò una mano verso di lui e Marco d’istinto cercò lo sguardo di Silvia, lei con un cenno del capo disse -Vai-
Marco afferrò la mano dello sconosciuto apparso dal buio e si alzò dal divano in cui era sprofondato. Ora non aveva più paura.
   Si incamminarono verso il balcone che magicamente  si era aperto, Marco tornò a cercare lo sguardo di Silvia che ormai era alle sue spalle e le disse -Addio-
-Arrivederci- gli rispose lei con lo sguardo sereno.
   Lei rimase lì a guardare quella scena, vide Marco uscire in terrazzo e l’uomo vestito in nero seguirlo.
   La buia notte si abbatté su di lui come una tenda di un velluto pesante, sentì un rumore alle sue spalle e girò la testa di scatto. L’uomo dai tratti orientali e vestito come un fotomodello Versace aveva dietro le spalle due enormi ali bianche. Marco sorrise e tornò a guardare avanti, avvertì una pressione sotto le ascelle e all’improvviso si sentì  leggero. Stava andando incontro alla notte più buia.





   Gli uccelli cinguettavano dopo il risveglio di una lunga notte. La luce dell’alba illuminò il corpo inerme di Marco sul selciato.
   Qualcuno gli si avvicinò
-O mio Dio!- una donna che passava di lì -Si è ammazzato!
-Ha fatto un volo di cinque piani!- gridava la gente. 
   Quando qualcuno ebbe il coraggio di avvicinarsi si rese conto che sul suo viso, sul volto di quel giovane suicida, era stampato un sorriso. Il rimorso lo aveva ucciso, il rimorso lo aveva liberato.


FINE


lunedì 11 dicembre 2017

E TU SBIADISCI!


A volte ti sogno
È passato del tempo ma a volte capita
Certo sempre più raramente
E penso che non vieni più a trovarmi
Ma è giusto!
Sono io che dovrei venire più spesso da te
La vita ti consuma
Il tempo ti sfugge
Scappi, corri, ti affanni….
Ma alla fine è solo aria quella che sposti
E tu sbiadisci
E questo mi fa male
E tu sbiadisci
E questo mi commuove
Ma anche se è sempre più pieno

Un anglo nel mio cuore lo troverai sempre.

giovedì 30 novembre 2017

TI ODIO



Inesorabilmente la pioggia continua a cadere sul parabrezza della mia auto.
Io la guardo mentre aspetto Cecilia sotto il suo portone. Guardo le goccioline che continuano a rincorrersi come facevo da bambino, quando scommettevo su quale sarebbe arrivata per prima sul fondo del vetro.
Da allora è passato tanto tempo, ma a me sembra ieri. Sembra ieri che si giocava nel quartiere fino al calar della sera, fin quando una voce non ci richiamava alle nostre case dove un piatto di minestra fumante stava ad attenderci, dove il letto caldo non ci dispiaceva, vista la stanchezza accumulata. Quei tornei continui di calcetto, si giocava per ore, roba che nemmeno i professionisti…
Ed ora sono qui, la portiera che si apre mi riporta al presente in cui “dovrei” essere grande.
«Ciao!»
La voce di Cecilia si sente appena soffocata dallo stereo a volume alto, lei provvede subito ad abbassarlo, io le rivolgo un sorriso forzato.
È bella come sempre con i suoi capelli corvini e le sue guance un po’ arrossate dal freddo, quel suo modo di muoversi elegante, anche se a volte un po’ forzato, si vede che l’ha studiato dalle dive di Hollywood o dalle protagoniste di Beautiful.
«Hai visto come piove?»
L’ho visto sì, questa merda di tempo! Non le rispondo. Sembra il discorso che farebbero due estranei: “Piove” “E sì, con questo tempo non si capisce più niente!” “Eh, non esistono più le mezze stagioni!” e tutte quelle merdate di circostanza.
Ingrano la prima e persino il mio bolide sembra non voglia muoversi in quel diluvio, fa due singhiozzi, ma poi si rassegna all’idea di portarmi in giro. Anch’io non avevo voglia di uscire ma ci tocca bello!
«Sai ho parlato con papà…»
Perché  in genere non lo fate? Mi verrebbe da dirle.
Sé se n’è uscita con quel discorso vuol dire che hanno parlato di cose serie e qui inizio a temere quello che mi spetta.
L’immagine di quel grassone spara prediche mi si para davanti, lo vedo con il suo baffone anni settanta e quel sorriso  di circostanza, un sorriso che non riesci mai a capire quanto sia vero o quanto sia falso.
«…dice che vuole sapere che intenzioni hai…»
     Eccola! Lo sapevo che era lì che voleva arrivare, questa volta a tempo record, subito dopo il “Ciao”.
«…che sarebbe ora che mi sistemi…»
     Porca vacca! A ventitré anni?! Cavolo, ma lo vedi che sei una bimba e che io c’ho ancora il moccio al naso?!
Non la sopporto quando fa così, non la sopporto quando si fa modellare dagli altri, eppure è così, la copia di sua madre sovrapposta a quella del padre con piccole sfumature delle amiche.
«…le mie amiche…»
     APPUNTO!
«…sono già tutte sposate e Clara è anche incinta…»
Sì, certo, il sogno della mia vita: una moglie, una casa, un paio di piccoli marmocchi che corrono in giro, un camino e un bel paio di pantofole da indossare quando torno dal mio duro lavoro.
NO!
«…mia madre alla mia età aveva già me…»
E siccome tua madre ha fatto un errore lo devi fare anche tu? Perché non le vai a domandare se è felice? Soprattutto quando tuo padre la zittisce e la tratta da idiota? O quando tutti ridono di lei perché, quella brava persona di tuo padre, ha appena finito di raccontare un aneddoto su di lei?
Perché non riesco a dirgliele tutte queste cose? Perché non parlo?… Perché è un discorso che abbiamo fatto migliaia di volte!
«…non posso accettare che mia sorella più piccola si sposi prima di me…»
Altra bella cima! Sposarsi a vent’anni, ma come le dice la testa?! A quell’età devi vivere!
Scappa da un padre padrone per rintanarsi tra le braccia di un marito geloso e possessivo. Già me la vedo rinchiusa nella sua piccola gabbia dorata.
Lei guarda fuori dal finestrino la sera scura resa ancora più scura da quella maledetta e triste pioggia. Dallo stereo, in un sottofondo quasi impercettibile, arriva il suono dolce di un sassofono, solo l’idea di poter alzare il volume della mia canzone preferita e lei riprende. 
«…le mie amiche, i miei genitori, mia sorella mi guardano tutti dall’alto in basso…»
Lo dice quasi gridando, lo dice con le lacrime agli occhi, lo dice girandosi verso di me, inondandomi con il suo dolce profumo.
Io la guardo e forse a questo punto lei si aspetta finalmente una reazione, ma mi fa solo pena, mi chiedo come fa ad essere così bigotta? Come fa a ragionare così una ragazza del ventunesimo secolo? Come si fa a subire un lavaggio del cervello simile?
Continuo a stare in silenzio e torno a guardare la strada.
Mi accendo una sigaretta che è meglio!
«…che fai fumi pure ora? Ma non hai mai fumato!...»
Quante cose non sai di me, quante cose non mi dai nemmeno il tempo di dirti, quante cose mi hai fatto passare la voglia di dirti.
«…E poi stai lì, senza dire una parola…»
E che dovrei rispondere? Che mi avete rotto le palle tu, tua madre, tuo padre, tua sorella la futura sposina, le tue amiche casa e chiesa, mariti e zii, nonni e governanti, il mio datore di lavoro, estranei e conoscenti? Tutti! Me le avete proprio massacrate!
Do un’altra boccata di fumo.
«…vai ancora in giro con questo catorcio, ma ti rendi conto che sei un fallito? Ti rendi conto che non riesci a combinare niente di buono? Ti rendi conto che non sei riuscito nemmeno a mettermi incinta?...»
Sono allibito! Pur di sposarsi è arrivata anche a quello, è arrivata a volermi incastrare. 
E poi che ha da dire sul mio Maggiolone? Suo padre può portare dei baffi assurdi anni settanta ed io non posso guidare in un bolide lucente dello stesso periodo?
«…te ne stai lì, non dici niente, fermo a fumarti quella merda, io…io…»
La rabbia la sta quasi uccidendo.
«TI ODIO!!!»
Aaaaah! L’hai detto finalmente! Finalmente ti è uscito quanto sei stronza!
Inizio a pensare al contenuto del mio cruscotto.

Lo apro subito dopo aver accostato e ne tiro fuori la pistola. Dirigo la canna verso la sua tempia, il mio dito preme il grilletto, il suo cervello schizza fuori dal mio finestrino in frantumi. Poi la giro verso di me, infilo la canna in bocca e il grilletto questa volta mi sembra più forte, ma riesco a tirarlo, il mio di cervello dipinge la capote di rosso…

«Mi riaccompagni a casa?»
La sua voce mi sveglia dalla mia allucinazione ad occhi aperti.
Ormai sta piangendo e quello che le fa più rabbia, sono sicuro, è il fatto che non dico una parola.
Dò un occhio al cruscotto, no, purtroppo lì non c’era una pistola con cui avrei potuto dare fine alle nostre inutili vite, ma qualcos'altro che non è per niente peggio.
Sterzo con violenza e dirigo il muso bombato verso casa sua, lei rimane in silenzio, io rimando indietro “Vincent Gallo blues” e alzo il volume.
Ora posso ascoltarla!
Sotto casa sua inchiodo con violenza, la sua testa va in avanti e i suoi capelli spargono nell’aria il profumo, che ormai mi dà la nausea.
«CIAO…»
Mi saluta guardandomi in faccia e attendendosi una risposta, io chiudo gli occhi e poso adagio la mia nuca sul poggiatesta. Sento solo una forte tensione nell'aria e il rumore dello sportello sbattuto con forza. Riapro gli occhi e la vedo infilarsi nel portone.
«Addio!» le dico nel momento in cui chiude il pesante portone.
Ma lei non mi sente, non può sentire, è troppo lontana da me.
I miei occhi verdi iniziano a guardarmi dallo specchietto retrovisore, forse mi vogliono giudicare, ma accennano un sorriso.
Torno a guardare il cruscotto chiuso, lo apro e all’interno c’era, lì che mi aspettava, il biglietto aereo di sola andata che mi avrebbe portato via da quell’inutile posto di merda.
Lo raccolgo e lo scruto per un po’, forse c’è ancora un pizzico di ripensamento, ma la sua voce arriva a riprendermi
«TI ODIO!!!»
Torno a guardare lo specchietto che riflette i miei occhi, ora stanno ridendo davvero.
«Addio!» ripeto dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sua casa.
Questa volta il mio Maggiolone riparte con più convinzione.

FINE


mercoledì 29 novembre 2017

IL PESO


Pesa dentro ciò che non capisci
Pesa come un macigno per quel che non conosci
Porta con se la sua forza
Porta con se la sua inesattezza
Porta via ciò che non deve e lascia te, a pensare se ne sei degno
Porta via il bene e lascia il male
Porta via il giusto e lascia l'errato
Pesa la sensazione di inadeguatezza
Pesa come fosse quasi colpa tua
Porta via ciò che non deve e lascia te, a pensare se sei degno

lunedì 27 novembre 2017

RESTO QUI


Resto qui
Da solo nella polvere
Cerco sì
Non voglio cedere
Alla tentazione di credere
Che mio fratello sia scomparso
Che mio fratello sia diverso
Resto qui
Cercherò di non perdere
Questo sì
Non potrò mai cedere
Alla tentazione di credere
Che mio fratello sia diverso

Che nell’odio si sia perso

giovedì 23 novembre 2017

SID THE CLAMMY


Lo sai benissimo che quando te ne sarai andato parleranno della tua vita, ed è per questo che vuoi raccontare di come sei morto!

Sudore! Caldo! Euforia! Adrenalina!
Scendi dal palco in estasi. Ti senti come se gradualmente rimpicciolissi dopo essere stato un gigante. Ti senti come se lentamente tornassi umano dopo essere stato Dio.
Sentire il tuo nome invocato da migliaia di fans e i versi scritti da te cantati in coro da una miriade di gente. Cosa c'è di più simile a sentirsi immortali?!
Però quando scendi da quel palco ti vengono i brividi, la metamorfosi alla normalità fa un male cane. E allora ci vuole un po' di roba che ti scorra nelle vene, ci vuole qualcosa che ti tiri su, ci vuole una bomba nel cervello.
«Ehi Clammy! Dove cazzo vai?» La voce di Mark  ti fa voltare. «Sei stato un grande amico!»
I complimenti non ti interessano più. Non è più come all'inizio. Non è come da ragazzino, quando ti applaudivano ed eri già contento che non ti avevano lanciato lattine vuote o resti di cibo. Quando suonavi in quelle bettole di merda, piene di ubriaconi bacati che non capivano un cazzo di musica e continuavano a chiederti di suonare "Sympathy for the devil".
No, ora è tutto diverso! Ora sei tu il diavolo! E hai solo bisogno di una botta forte alla testa che sta perdendo il ritmo. Senti quasi il dolore alla mano, quel pulsare alle dita che ti prende dopo aver suonato per più di due ore il basso. Il polso sembra non voler reggere il peso della mano.
Raggiungi Mark «Dammi qualcosa!» Gli dici riconoscendolo appena.
Lui infila la mano nella tasca e ti porge una stagnola arrotolata alla meglio. Poi ti abbraccia e quasi ti strozza.
«Sei un fottuto Dio amico mio! Mick ti può solo lavare i piedi bello!»
Qualche anno fa non ti avrebbe nemmeno toccato Mark, che con gli altri ti appiopparono il soprannome di "Clammy". Viscido un cazzo! Ti era piaciuto così tanto che l'avevi tenuto come nome d'arte. Ora non ti considerano clammy ma tutti vogliono un pezzo di  te.
Ti guardi attorno e in mezzo a tutte quelle facce di mostri che ti circondano non riesci a vedere quella che ti interessa davvero.
«Dov'è Penny?» Chiedi mentre affondi le narici nella polvere bianca che trovi all'interno della stagnola di Mark «quella stronzetta non c'è mai nei momenti importanti!» La coca fa quasi subito il suo effetto e quelli che prima ti sembravano mostri iniziano ad assumere lineamenti meno inquietanti. Ti stai riprendendo e tiri un grosso respiro. Hai voglia di fumare. Mark ti legge nel pensiero e ti passa il pacchetto di Lucky Strike. Ne peschi una e l'accendi. Il camerino si riempie di fumo e le voci iniziano a darti meno fastidio .
«Dove cazzo sta Penny?!» Urli ormai furioso. Silenzio improvviso. Tutti ti guardano, qualcuno abbozza un sorrisetto maligno.
«Furio dai coglioni!» su tutte le furie sei deciso a levarti quelle sanguisughe dai piedi. «FUORI!» apri la porta del camerino e oltre l’uscio c'è Penny con un tizio che, se ti fossi fermato un attimo a guardare, somiglia molto a te, almeno nel modo di vestire. Vedi i due scambiarsi qualcosa.
«Ecco dov'eri! piccola troietta!» La afferri per un braccio e la tiri all'interno del camerino.
Sono tutti fermi a guardare la scena.
«Ancora qui?! Ma non capite quando vi parlo? Fuori dalle palle!» e inizi a tirar calci e pugni ovunque.  Senti qualche urlo e ti arriva qualche spintone, ma nessuno che reagisce con convinzione.
Finalmente solo! Il silenzio ti dà quasi più fastidio del vociare di prima. Sai che quando arriverai in albergo ci vorrà una grossa e massiccia dose per poter rilassare i tuoi nervi a corda di violino.
«Allora? Che cazzo stavi facendo qui fuori con quella faccia di merda?» Le orecchie ti fischiano, sei quasi sicuro che se lei ti rispondesse non la sentiresti. Ma lei non fa altro che tirare fuori una bustina con della polvere all'interno.
Quando la vedi ti rilassi.
«Porca puttana! Dillo prima che eri andata a far scorte.»
«Ce la facciamo subito?» ti chiede vogliosa. Ha il trucco colato e i capelli sconvolti. Lo sai che per quella bustina può aver fatto di tutto. Non li vuole i tuoi soldi per far compere, vuole essere autonoma e tu sai benissimo da dove arriva la sua autonomia.
«No!» Le rispondi secco. Un po' non ne hai voglia e un po' ti fa girare i coglioni tutta quella situazione, vorresti tenerla legata a te, o in una campana di vetro, ma è uccel di bosco e non puoi fermare qualcosa di selvaggio. «In albergo» continui senza guardarla.  «Piuttosto dì a Mark di chiamare un taxi.»
«Ti piace dare ordini vero?! Mister Rockstar?»
«Mi piace darli ma mi piace molto di più quando li esegui!» La guardi torvo attraverso lo specchio dove hai iniziato a toglierti il trucco che ti si è praticamente incrostato in faccia. Lei capisce che non è aria perché, dopo qualche secondo in cui ha provato a reggere lo sguardo, ti sorride, fa un inchino pizzicando la gonnella di tulle che porta sui jeans strappati ed esce a cercare il tuo “amico” manager, o almeno speri che sia così, non ti va di metterti a cercare quel leccaculo.

Guardi dal finestrino del taxi scorrere una città che non è la tua.
New York ti ha fatto sempre cagare. Con i suoi caffè radical chic e i neri a giocare a basket per strada. I suoi "guarda che fighi i nostri palazzoni" e il suo parco di merda... quel parco dove una notte ti eri avventurato per far spesa e quasi ti accoppavano.
Niente a che vedere con la tua Londra. Aaah casa. I pub sempre aperti. La birra a fiumi, il tuo locale dove nessuno viene a romperti i coglioni. Dove hai scritto un milione di canzoni, su quel tavolo in legno logoro dal tempo. Dove il tuo spacciatore di fiducia ti trova senza problemi. Tutta un'altra storia!
Nel taxi che scorre lento tra le vie trafficate del centro Penny continua ad agitarsi, vuole farsi e non vede l'ora di arrivare in hotel per bucarsi la sua vena preferita. Sei innamorato di quella maledetta pazza, ti piace il suo modo di tenerti a se è respingerti quasi contemporaneamente.
«Lasciala perdere a quella!» Ti tornano alla mente le parole di Mark quando iniziasti a frequentarla «è una tossica di merda!» non aveva tutti i torti. Aveva paura che ti trascinasse nel suo oscuro tunnel e di perdere la gallina dalle uova d'oro.
Invece da quando la conosci sei diventato più prolifico, scrivi di più e i tuoi versi sono ancora più apprezzati, perché più psichedelici, manco fossi quel cazzo di re lucertola.
Ti piace l'eroina e non ne vuoi più fare a meno come non puoi fare più a meno di Penny.
Arrivati nella camera dell'hotel non cerchi nemmeno il bagno per farti una doccia, armate subito il tutto per un bel festino privato. Vodka e sballo. Lei tira fuori la bustina che ti aveva mostrato nel camerino, tu ti attacchi alla bottiglia che hai recuperato al bar dell'hotel.
Con maestria Penny scalda il cucchiaio e tu ti perdi nelle bollicine  che produce.
Ripensi a quanto era bello sognare di essere una Rockstar famosa. Forse era più bello sognarlo che viverla quella maledetta vita. Oggi sei sempre scontento. Sempre insoddisfatto. Sempre strafatto.
Poi finalmente infili l'ago nella vena e non senti immediatamente più nulla. Tutto perde i contorni e tu finalmente ti rilassi e cerchi di farti trasportare dal trip che ti ha riservato il regalo di Penny . Guardi lei fare lo stesso e sprofondare in una poltrona. 
La camera d'albergo si illumina quasi a darti fastidio agli occhi. La luce è così forte e piacevole che ti ci tufferesti dentro.
Una voce ti spegne tutto.
«Ciao Sidney!» Spalanchi gli occhi e ti ritrovi davanti te stesso. Sì, sei proprio tu. Ma non ci credi. Pensi ad uno specchio o a una allucinazione, più probabile.
«Chi cazzo sei?» Chiedi alla tua copia che ti sta davanti.
«Sono te amico mio! Sono la tua cattiveria fatta persona.»
Guardi la sua mano e vedi il tuo coltello, lo riconosci perché è una rarità, con il suo manico in madreperla intagliata, lo riconosci perché è quello che ti ha regalato Penny, e senti la consistenza del manico nella tua di mano.
Il te esterno prende la tua ragazza che sta sdraiata sulla poltrona e la fa mettere in piedi.  Lei a stento apre gli occhi.
«Cazzo vuoi?!» La senti farfugliare appena. Ed è lì che parte la prima coltellata alla pancia. Lei spalanca gli occhi, dal dolore o dalla sorpresa, la sorpresa di accorgersi che la stai ammazzando. Urli qualcosa ma non sei nemmeno sicuro di averlo fatto.  Provi a metterti in piedi ma sei bloccato e non ci riesci. Sei fuori dal tuo corpo senza la possibilità di fare qualcosa e fermare te stesso che assassina la tua amata.
«L'hai sempre considerata una puttana di merda!» ti dice il tuo te stesso mentre sferra un'altra coltellata «è quello che si merita amico mio!»
Piangi e la tua vista è sempre più appannata, forse svieni o non ricordi nulla.
Ti svegli e vedi l'unica cosa che ti interessa al mondo in una pozza di sangue, ferma immobile, con gli occhi ancora sgranati. Il coltello nella tua mano destra lo lasci cadere sulla sudicia moquette del pavimento del Celsea Hotel. Cerchi sempre un posto che ti ricordi casa quando sei fuori dalla tua città.
Piangi per un tempo che ti sembra infinito. Senti bussare alla porta. Afferri quello che resta dell'eroina e te la inietti. Lo fai con voglia e con disprezzo.  Sai che quella sarà la tua ultima dose. Sai che sarà il tuo ultimo viaggio. Sai che da quel punto non si torna più indietro.
Afferri la mano di Penny e ti sdarai al suo fianco. Il cuore inizia la sua corsa impazzita, la bava ti fuoriesce dall'angolo della bocca, i muscoli iniziano a contrarsi in modo convulso come se stessi ballando una macabra danza.
Tutte le tue canzoni, quelle che qualche ora prima avevi cantato davanti a migliaia di persone ti passano nel cervello. L'ultimo barlume prima che si faccia buio, il suo odore.

Corro a cercarti, non lasciarmi indietro
Ti seguirò ovunque fosse anche oltre la morte
Se c’è rimedio o questa è la sorte
Spalancherò quelle maledette porte
Sarò lo scalpello che spaccherà il tuo cuore di pietra.

Gli ultimi versi ti girano nella testa. Gli ultimi versi di una canzone mai suonata, mai incisa, mai sentita.

Poco importa che si scoprirà  che un figlio di puttana vestito in modo identico al tuo era stato appena fermato. Poco importa che fosse stato lui ad ucciderla, lo stesso che vi aveva venduto l'eroina. Poco importa che la mano non era la tua, quella col coltello.
Sai solo che è colpa tua e che se lei non c'è più non esisti nemmeno tu.

FINE

lunedì 20 novembre 2017

L'ALTALENA


Sali su quell'altalena
che è l’amore
Sali e lasciati andare senza timore
Si sa che a volte sale e a volte scende
Si sa che a volte si da e a volte prende
….che a volte si perde
….che a volte ti stende
….e spesso ti sorprende
Sei pronto a dare tutto te stesso?
Sei pronto ad andare oltre il sesso?
….la vita
…la morte
…la sorte
…..la notte
Tutta la notte
Tutte le notti
Se pronto a godere
E a sfiorar le dita?
Sei pronto a morire
E ogni volta a tornar in vita?

giovedì 16 novembre 2017

BUTTATI!


Una colomba bianca volava tranquilla in un cielo sereno. Passò da una città e vide un uomo che stava sul parapetto di un balcone, parlava con un corvo nero appollaiato su una ringhiera di fronte. Sembrava che l’uomo avesse deciso di finirla con quella vita grama. La colomba decise di intervenire, sperando di farlo ragionare. Nel momento in cui si posò vicino a l’uomo il corvo inclinò il piccolo capo pieno di piume nere.
"Buttati!" Disse d'improvviso.
La colomba intercedette.
"Perché vuoi farlo?" Chiese dolcemente "possibile che non ci sia un motivo valido per vivere? Ce l'avrai un lavoro!" disse decisa.
"Mi hanno appena licenziato!" rispose l'uomo in modo triste.
"Buttati!" continuò il corvo
"Ma avrai una moglie a casa che ti aspetta" disse la colomba intenerita.
"Mia moglie mi ha lasciato per andare a vivere con il mio migliore amico! "
"Buttati! " disse di nuovo il corvo dalla sua posizione.
"Ma un figlio che ti ama?" Disse ormai sconfortata la colomba "ce l'avrai un pezzo di carne della tua carne!"
"Mio figlio si droga e continua a derubarmi."
"Buttati!" Fu il commento del corvo.
L'uomo prese un gran respiro e si buttò giù.

"Perché l'hai fatto?" chiese indispettita la colomba al corvo.
"Fatto cosa?" Rispose lui con aria incredula
"L'hai convinto a buttarsi giù "
"No, ti sbagli" disse il corvo stizzito "Prima che arrivassi tu cercavo di convincerlo a ripartire da zero. Con il mio BUTTATI intendevo di farlo nella vita. Sei tu che gli hai fatto tutte quelle domande deprimenti!"

lunedì 13 novembre 2017

OMRAN E' SOLO UN BAMBINO


Omran è solo un bambino
Minuto come un cerino
Non lo sa cos’è la guerra
È da poco su questa terra
L’odio non sa cosa sia
Non sa cos’è quest’idiozia
Che rende l’uomo cattivo
E così non capisce il motivo
Non capisce il perché di quelle bombe
Che arrivano senza squilli di trombe
Ad annunciarne l’imminente arrivo
A chiederti se sei ancora vivo
Omran cerca solo il suo fratellone
In quello scenario di demolizione
Di case e palazzi rasi al suolo
Senza Alì si sente davvero solo
Seduto su quell’ambulanza
Non capisce quella macabra danza
Non è come gli altri bambini
Che cercano già i telefonini
Pieno di polvere su quella foto
Con lo sguardo perso nel vuoto
Quei piccoli occhi non dovrebbero guardare
L’orrore che l’uomo può procurare
Omran non conosce Abele e Caino

Perché lui è solo un bambino.